29 marzo 2015 15:29

Dopo vari giorni d’attesa, il 25 marzo il primo ministro iracheno Haider al Abadi ha annunciato l’inizio della seconda fase delle operazioni per liberare la città di Tikrit dal gruppo Stato islamico. Circa un’ora dopo, sono state bombardate le postazioni dell’organizzazione jihadista nel centro della città e i palazzi del vecchio presidente Saddam Hussein. Le operazioni si sono svolte con il supporto di alleati come gli Stati Uniti (che finora non avevano preso parte all’offensiva su Tikrit).

L’interruzione dell’avanzata su Tikrit aveva suscitato dubbi. Secondo alcuni, Washington non voleva che fossero le milizie di volontari sciiti, manovrate da Teheran, a guidare l’attacco.

Altri hanno messo in evidenza le proteste dell’Arabia Saudia dopo le notizie delle numerose uccisioni commesse da queste milizie. Altri hanno fatto notare che alcuni vecchi leader del partito Baath e la figlia di Saddam Hussein, Raghad, potevano cadere vittime dell’assedio.

Pochi hanno dato ascolto alla motivazione ufficiale dal governo, secondo cui l’offensiva è stata rinviata per tutelare le vite dei civili.

Nel suo annuncio Al Abadi ha detto che Tikrit sarà liberata presto, e dalle forze irachene, sottolineando che i gruppi tribali sunniti della città collaborano con il suo governo. Ma quello che è risultato evidente è il ruolo di primo piano svolto dall’aviazione statunitense. Perciò c’è da chiedersi: davvero americani e iraniani combatteranno sullo stesso fronte nella guerra contro i jihadisti? O una delle due parti si ritirerà dalla battaglia? E, infine, chi conquisterà la vittoria finale: l’esercito ufficiale di Baghdad o le milizie tribali sunnite (appoggiate dagli aerei statunitensi)?

(Traduzione di Francesca Sibani)

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