25 aprile 2015 17:17

In una vecchia casa di Baghdad sulla riva del fiume Tigri ho assistito a una rappresentazione della pièce tragicomica Izizza (“izizza” è un osso usato per lanciare il malocchio ai propri vicini). All’ingresso dell’abitazione, gli attori ti accoglievano e ti facevano visitare tutte le stanze della casa. In ogni stanza si fermavano per raccontare una storia che aveva come protagonista una donna: storie di stupri, suicidi, ma anche di maestre insoddisfatte del loro lavoro.

Alla fine tutti gli attori si sono riuniti nel cortile principale per inscenare una danza tragicomica. Poi ci hanno fatto attraversare un corridoio oscuro alla fine del quale, ci avevano detto, avremmo trovato la soluzione al sanguinoso conflitto che divide il nostro paese. Con grande sorpresa abbiamo trovato uno specchio: noi stessi avremmo dovuto trovare la soluzione!

Mia nipote Sarah, un’informatica di 23 anni, ha pianto per tutto il tempo.

“Perché?”, le ho chiesto.

“Perché mi sento responsabile di tutte queste tragedie. Ma cosa posso fare per cambiare le cose?”. Questa domanda attanaglia gran parte dei giovani iracheni istruiti.

“Non basta denunciare e maledire i politici corrotti. Dobbiamo fare qualcosa di più”.

Sarah è tornata a vedere lo spettacolo e lì ha incontrato altri ragazzi con cui si è messa a discutere nel giardino. Alla fine hanno deciso che avrebbero insegnato alla gente a sorridere. “Il sorriso è la scintilla che innesca un’azione positiva. Andremo dai profughi nei loro campi per aiutarli e incoraggiarli a reagire”.

(Traduzione di Francesca Sibani)

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