22 maggio 2015 15:08

“La questione più importante non è liberare Ramadi e la sua provincia dal gruppo Stato islamico. L’essenziale è difendere Baghdad”. Un ufficiale di alto rango dell’esercito iracheno mi spiega in questi termini i preparativi per l’imminente battaglia tra i jihadisti, da una parte, e l’esercito iracheno e le milizie sciite dall’altra.

La settimana scorsa la caduta di Ramadi, capoluogo della provincia di Al Anbar, nelle mani dello Stato islamico è stata la seconda grossa sconfitta per l’Iraq dopo la perdita di Mosul nell’estate del 2014. Con un’estensione di 138mila chilometri quadrati, è la provincia più grande del paese e ha 1,5 milioni di abitanti. Lo Stato islamico è riuscito a rafforzare il suo controllo su Ramadi sferrando attacchi a ripetizione con le autobombe.

Il governo di Haider al Abadi è stato duramente criticato dalla gente, dai mezzi d’informazione e perfino da alcuni suoi esponenti. Le accuse sono quelle di non avere una strategia e di non aver saputo risollevare il morale dei soldati. Alcuni parlamentari hanno addirittura accusato il ministro della difesa di aver rimandato deliberatamente l’offensiva per liberare quelle parti di Ramadi che erano finite inizialmente in mano allo Stato islamico e ora chiedono le sue dimissioni.

Intanto il numero delle milizie popolari è cresciuto fino a raggiungere i quaranta gruppi. Nelle piazze e nelle strade di Baghdad si moltiplicano i manifesti a sostegno dei volontari. La classe media di Baghdad si divide tra due paure: quella dello Stato islamico, che è ormai a un centinaio di chilometri, e quella dei gruppi armati sciiti, che crescono di numero e sono sempre più potenti.

(Traduzione di Francesca Sibani)

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