27 giugno 2015 16:16

I dispacci della diplomazia saudita pubblicati dall’organizzazione Wikileaks hanno scatenato un dibattito sui mezzi d’informazione iracheni, anche perché sono usciti in un momento di timido riavvicinamento tra Baghdad e Riyadh. Gettando benzina sul fuoco, il giornalista Mushriq Abbas ha descritto la pubblicazione dei leaks come l’ennesimo capitolo della sotterranea guerra settaria in corso tra i politici iracheni.

Per decenni gli iracheni hanno vissuto sotto un regime basato sulla massima segretezza e sono sempre molto curiosi quando si tratta di conoscere rivelazioni “top secret”. Nei dispacci sauditi l’Iran sciita appare come il “grande satana” e la grande preoccupazione delle autorità di Riyadh è contrastare il potere di Teheran in Libano, Yemen, Mauritania ed Eritrea. L’Iraq, che a est condivide un confine lungo 1.458 chilometri con l’Iran e a ovest un confine di 814 chilometri con l’Arabia Saudita, si trova tra due fuochi. Secondo le rivelazioni di Wikileaks i sauditi hanno avuto contatti segreti con i politici iracheni, anche di alto livello, e a volte hanno usato la ricchezza derivante dal petrolio per manovrare la politica irachena contro l’Iran.

Sui social network è subito partita una campagna intitolata “Non restare in silenzio!”, che chiede di portare davanti alla giustizia gli “agenti sauditi che hanno tradito il loro paese in cambio di denaro”. Sull’emittente irachena Dijla tv, un giornalista ha chiesto al vicepresidente Iyad Allawi perché nei dispacci si faceva il suo nome in due occasioni. Allawi ha cercato di minimizzare dicendo che si trattava di comunicazioni diplomatiche “vecchie e contraffatte, che servivano solo a screditare i politici che avevano combattuto contro il regime di Saddam Hussein e a rovinare le relazioni con l’Arabia Saudita”. Alcuni blogger, invece, chiedono la pubblicazione di leaks iraniani.

In ogni caso gli iracheni aspettano impazienti che esca, com’è stato promesso, un altro mezzo milione di documenti: non vedono l’ora di scoprire nuovi segreti.

(Traduzione di Francesca Sibani)

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