17 marzo 2017 12:05

“Sono preoccupato soprattutto per il destino dei civili tenuti in ostaggio nella città vecchia di Mosul”, mi ha detto Nazar Abdul Satar, un giornalista di 62 anni originario della città del nord dell’Iraq. Più di 750mila civili, tra cui molti bambini, sono stretti tra due minacce: i pesanti bombardamenti dell’esercito e la possibilità di essere usati come scudi umani dai miliziani del gruppo Stato islamico (Is). “I jihadisti si nascondono nelle loro case. Di solito costringono le famiglie a spostarsi al secondo piano e loro s’installano al primo, così hanno più possibilità di sopravvivere alle bombe”, racconta Satar. “Per i civili è molto difficile riuscire a mettersi in salvo in questa situazione”.

Rappresaglia jihadista
Il 15 marzo ad Hawija, secondo i mezzi d’informazione iracheni, i jihadisti hanno ucciso nove civili, tra cui quattro minori, dandogli fuoco. La loro colpa era di essere scappati dalle terre controllate dall’Is per andare ad avvertire altri civili che era arrivato il momento di fuggire. Nonostante i rischi, quasi centomila abitanti di Mosul sono riusciti ad abbandonare la città dal 19 febbraio, quando è cominciata l’offensiva dell’esercito iracheno per riprendere il controllo di Mosul ovest.

I pericoli per i civili aumentano mano a mano che l’esercito avanza nel centro della città. Il capo della polizia federale ha annunciato che le forze irachene controllano il ponte di ferro sul fiume Tigri, e che si trovano ormai ad appena 800 metri dalla Grande moschea, il luogo dove il leader dell’Is Abu Bakr al Baghdadi fece la sua prima e ultima apparizione per proclamarsi califfo dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante.

(Traduzione di Francesca Sibani)

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