28 settembre 2012 11:11

C’è un lato positivo nella crisi finanziaria che ha colpito Ha’aretz, il quotidiano israeliano per cui lavoro da 23 anni: noi giornalisti abbiamo finalmente cominciato a conoscerci e ad abbinare le facce ai nomi. Un paio di anni fa alcuni cronisti e redattori di Ha’aretz hanno creato un nuovo comitato di redazione, molto agguerrito, che ha sostituito un organismo antiquato e inefficace.

Le assemblee hanno riunito persone che si conoscevano solo di nome, e spesso neanche quello. Sabato scorso uno sciopero di due ore e mezza con manifestazione davanti all’edificio della redazione è stato un ulteriore passo avanti verso la creazione di un organismo collettivo, dove prima c’erano solo individui isolati. È stata la seconda iniziativa del genere nel giro di un mese.

Oggi il nostro collettivo di circa quattrocento lavoratori rischia di perdere un quarto degli iscritti: di recente la proprietà ha infatti annunciato di voler licenziare circa cento persone. Alla base della crisi ci sono motivi universali come la migrazione degli inserzionisti verso internet e la crescita delle testate online, ma anche il boicottaggio pubblicitario di un magnate israeliano e l’avvento di un quotidiano gratuito competitivo, Israel Hayom (Israele oggi), finanziato dal miliardario israelo-americano Sheldon Adelson, che si è arricchito con i casinò.

Come molti di voi immagineranno, la linea editoriale di Israel Hayom è estremamente ossequiosa nei confronti di Benjamin Netanyahu e della sua politica. Sia Adelson sia Netanyahu (che ha studiato negli Stati Uniti) sono ferventi repubblicani, nell’accezione più americana del termine. Come se non bastasse, più di un anno fa il suddetto magnate ha comprato un altro quotidiano, Maariv, con l’obiettivo dichiarato di distruggere Ha’aretz. Oggi il nostro giornale è in bancarotta e i dipendenti stanno conducendo una battaglia eroica per ottenere almeno il rispetto dei loro diritti sociali.

Il nostro comitato ha presentato un’infinità di proposte per risparmiare sulle spese e aumentare le entrate, convinto che la crisi non sia irreversibile. Il nostro slogan è “non c’è giornale senza giornalisti”. Un secondo slogan, “non c’è un altro Ha’aretz”, cita la canzone popolare

Non ho un’altra terra (Ha’aretz in ebraico significa terra).

La spada di Damocle che pende sulle nostre teste non minaccia soltanto le nostre carriere e i nostri stipendi. È anche un pericolo serio per una delle ultime riserve di democrazia in Israele. Ha’aretz è l’unico quotidiano che osa sfidare il potere, e la sua scomparsa faciliterebbe la diffusione dei modi di pensare più arroganti e ottusi.

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