24 giugno 2013 07:00

Il governo sudafricano ha annunciato che Nelson Mandela, quasi arrivato all’età di 95 anni, è ormai in “condizioni critiche”. In un momento così drammatico è giusto ricordare in cosa consiste la grandezza di quest’uomo rispettato, ammirato e venerato in tutto il mondo fin dagli anni ottanta.

Prima di tutto bisogna citare i 27 anni di prigione (a lungo in condizioni durissime) scontati per essersi ribellato alla segregazione razziale in atto nel suo paese. In secondo luogo c’è l’assoluta legittimità della sua battaglia – inizialmente non violenta e successivamente armata – contro il regime di apartheid che aveva condannato i neri a vivere come paria nel loro stesso paese, dominato da una minoranza bianca che non riconosceva loro alcun diritto. In terzo luogo ci sono la forza, la dignità e il coraggio con cui ha rifiutato per cinque anni le offerte di liberazione e di un ammorbidimento delle condizioni carcerarie in cambio di un appello alla rinuncia alla lotta armata. Infine (e soprattutto) c’è l’impegno profuso per evitare, una volta avviati i negoziati con il potere bianco nel 1990, che la volontà di fondare stati separati degli zulu e della corrente più radicale della minoranza bianca spaccasse il Sudafrica scatenando una guerra infinita.

Prima ancora di diventare il primo presidente del Sudafrica democratico (nel 1994), Nelson Mandela ha portato sulle spalle il destino del suo paese, animato dall’ossessione di non lasciar morire la speranza di una transizione pacifica tra il non diritto e lo stato di diritto. Per questo motivo ha frenato l’impazienza dei suoi partigiani, ha dato tempo a Frederik de Klerk (l’uomo che lo aveva fatto liberare) di convincere la popolazione bianca che bisognava abbandonare l’apartheid e ha perfino negoziato con i movimenti più razzisti e violenti, fino a convincerli ad accettare l’ineluttabile: un uomo, una voce.

Queste quattro ragioni sarebbero più che sufficienti a giustificare il mito che circonda Mandela, ma c’è dell’altro. La vera grandezza di Madiba consiste nell’aver saputo oltrepassare il risentimento e aver convinto la maggioranza dei neri a fare lo stesso, e nell’aver compreso che la più grande delle vittorie non sarebbe stata la sconfitta dell’avversario ma la saggezza di saper guardare avanti e non indietro.

Dopo tanti anni di ingiustizie e violenze, i sudafricani avrebbero avuto tutte le ragioni per non voler vivere insieme ai bianchi e spingerli ad andarsene. Sarebbe stato umano, troppo umano, ma quali sarebbero state le conseguenze? Persone che si erano stabilite da tempo in Sudafrica e non avevano un’altra patria sarebbero diventate apolidi.

Sarebbe stata una nuova ingiustizia, e il Sudafrica si sarebbe privato di quegli insegnanti, imprenditori, agricoltori, operai e medici di cui aveva bisogno per sviluppare la sua economia e che erano cittadini sudafricani tanto quanto lo erano i neri. Nelson Mandela, invece, ha saputo perdonare e costruire un paese che oggi continua a crescere e sta diventando una nazione forte e unita nella diversità.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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