28 giugno 2013 07:00

Fondata da 6 paesi e arrivata a contarne 27, da lunedì l’Unione europea accoglierà il ventottesimo stato membro. Dopo la Slovenia, ammessa nel 2004, la Croazia sarà il secondo paese dell’ex Jugoslavia ad entrare a far parte dell’Ue. Ci sono diversi modi (più complementari che discordanti) di valutare l’allargamento.

Innanzitutto l’ingresso della Croazia significa che l’Unione, in un momento in cui sta perdendo l’affetto dei suoi cittadini ed è stritolata dalle sue contraddizioni interne, continua ad esercitare una grande forza di attrazione all’esterno delle sue frontiere. La Turchia, l’Islanda e il Montenegro sono impegnati nei negoziati di adesione. La Macedonia e la Serbia hanno avanzato la propria candidatura. L’Albania, il Kosovo e la Bosnia Erzegovina vorrebbero farlo al più presto, e almeno sei repubbliche ex sovietiche – tra cui l’Ucraina, la Georgia e l’Armenia – accarezzano il sogno di farne parte, per quanto prematuro.

Sono in molti, insomma, a bussare alle porte dell’Unione europea, per il semplice motivo (troppo spesso dimenticato dai suoi cittadini) che si tratta della prima economia del pianeta e del soggetto politico in cui lo stato di diritto è più tutelato e l’ingiustizia sociale più contenuta.

Il secondo elemento da sottolineare, conseguenza del primo, è che l’Unione si trova in una condizione senza precedenti. Mentre le grandi potenze della storia hanno sempre cercato di imporsi con la forza delle armi, l’Unione riesce a estendere la sua influenza, esportare i suoi valori e penetrare in nuovi mercati ricorrendo soltanto alla seduzione. Bruxelles non ha bisogno di conquistare nessuno, perché sono gli altri a chiedere di essere ammessi, alle condizioni fissate dall’Ue.

Inoltre il suo status permette all’Unione di organizzare e pacificare i suoi mercati, scongiurare guerre e conflitti all’interno delle sue frontiere ed estendere la pace agli stati vicini, anche perché nessuno può pensare di essere ammesso nel club se prima non risolve le proprie tensioni interne e le dispute di vicinato.

Fino a qui tutto bene, ma le cose non sono così semplici. Quando era formata da sei paesi, la Comunità europea era regolarmente scossa da crisi fragorose, perché i suoi fondatori erano costantemente in disaccordo. Ora che i membri sono 27 si rasenta l’ingovernabilità, e quando saranno 28 l’Ue rischierà di impiegare il doppio del tempo per prendere le sue decisioni, sprofondando ancora di più nel caos.

Il quarto elemento da considerare, il rovescio della medaglia, è che fino a quando lo zoccolo duro, i membri di lungo corso o l’eurozona non daranno vita a un’unione politica all’interno dell’Ue per indicare il cammino da seguire, l’Europa rischierà continuamente di impantanarsi. È precisamente questo il senso delle proposte avanzate il mese scorso da Francia e Germania. Il Consiglio europeo che si è aperto giovedì avrebbe dovuto discuterle, ma alla fine non è stato così. A quanto pare è troppo presto e troppo complicato, e non è il caso di farlo prima delle elezioni tedesche di settembre. Solo che il tempo stringe, e di questo passo i pregi dell’Europa rischiano di trasformarsi in handicap.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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