03 luglio 2013 07:00

Gli egiziani stanno vivendo qualcosa che tutti i francesi conoscono molto bene: una rivoluzione. In Francia cominciò  tutto con una crisi economica che costrinse Luigi XVI a convocare gli Stati generali, rappresentanti della nobiltà, del popolo e del clero. Quando la tensione esplose, cadde la Bastiglia e con essa la monarchia. Un nuovo regime sostituì il precedente, ma dal terrore al primo impero, dalla restaurazione al 1848 e al secondo impero, è passato quasi un secolo prima che la rivoluzione che aveva sconvolto il mondo intero si stabilizzasse nella terza repubblica e le successive.

In Egitto, all’epoca della globalizzazione, dell’informazione istantanea e della diffusione dei valori democratici, la situazione si evolve molto più rapidamente, ma stiamo comunque assistendo all’inizio di una lunga storia di cui nessuno può prevedere l’evoluzione. Al Cairo è cominciato tutto con una rivolta dei giovani, galvanizzati dal successo dei tunisini che avevano appena realizzato l’impossibile rovesciando uno dei potenti che regnavano sul mondo arabo.

Se Ben Ali era caduto, allora anche Mubarak non era più intoccabile. Alla fine Mubarak è caduto, anche perché abbandonato dagli Stati Uniti. Washington aveva finalmente capito che le dittature che aveva sostenuto così a lungo per arrestare l’avanzata del comunismo erano ormai terreno fertile per il jihadismo, e che la stabilità passava per il cambiamento e l’esperimento della libertà.

L’esercito egiziano ha lasciato fare, conservando la sua popolarità con il rifiuto di sparare sui manifestanti. La caduta del regime ha aperto la strada per le elezioni libere dell’anno successivo, le prime nella storia dell’Egitto. A rigor di logica avrebbero dovuto essere i giovani rivoluzionari a vincere, ma in realtà erano soltanto l’avanguardia apartitica di un nuovo Egitto in gestazione.

I partiti laici, dall’estrema destra ai liberali, si sono presentati alle elezioni profondamente divisi, e così i Fratelli musulmani (conservatori e liberali, islamici ma non jihadisti) hanno vinto le elezioni, spinti al potere dalla metà dell’Egitto che si opponeva al lassismo dei costumi occidentali e alla presenza eccessiva dello stato nell’economia del paese. Regolarmente eletto, il candidato dei Fratelli musulmani Mohamed Morsi è diventato un presidente perfettamente legittimo, come ha ricordato martedì con forza e coraggio.

È così che funziona la democrazia, ma affinché il processo democratico sia solido è necessario un minimo consenso tra le parti. I Fratelli musulmani, invece, anziché aprirsi alle altre correnti hanno voluto monopolizzare lo stato. Anche a causa della crisi economica, buona parte del paese ha finito con respingerli in modo così netto da spingere l’esercito a schierarsi con l’opposizione e a cercare di defenestrare un presidente eletto che rifiuta di piegarsi.

È vero, si tratta di un colpo di stato portatore di violenza, ma è un colpo di stato popolare e applaudito. Non è democratico, ma è ciò che vuole una nuova maggioranza che si formata nelle piazze. E le rivoluzioni, come insegna l’esempio francese, si fanno beffa delle istituzioni democratiche che non hanno ancora stabilizzato.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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