24 ottobre 2013 08:29

Non c’è paese occidentale in cui non si discuta di immigrazione. Si discute negli Stati Uniti, dove la regolarizzazione dei clandestini cattolici arrivati dall’America Latina alimenta lo scontro tra il congresso e la Casa Bianca. Si discute in Europa, dove il dramma dei rifugiati che attraversano il Mediterraneo sui barconi della speranza sarà al centro del prossimo Consiglio europeo, e dove l’immigrazione è un problema anche all’interno dell’Unione. Qui il dibattito si concentra sulla libera circolazione dei rom e sui lavoratori dei paesi più poveri che offrono i loro servizi dove il costo del lavoro è più elevato. Si discute in modo sempre più appassionato anche nell’islam, identità familiare o religione della maggior parte degli immigrati che raggiungono l’Europa.

Vecchia come il mondo, l’immigrazione è un fenomeno multiforme. I latinoamericani degli Stati Uniti sono diversi dai magrebini di Francia, dai i turchi di Germania e dalle centinaia di migliaia di filippini e indiani delle monarchie petrolifere. Forse allora bisognerebbe usare il plurale e parlare di migrazioni, ma esistono comunque tratti comuni.

Fatta eccezione per i pensionati del nord, che sempre più numerosi scelgono di spostarsi al sud per sfruttare il loro potere d’acquisto, gli immigrati partono dai paesi poveri per raggiungere i paesi ricchi. I flussi migratori non si possono arrestare ma solo regolare, perché niente potrà mai impedire a un uomo affamato, l’irlandese di ieri o il saheliano di oggi, di cercare fortuna altrove. Oltre alle costanti storiche, però, l’immigrazione contemporanea presenta anche un elemento nuovo, che ne modifica la natura e la percezione.

Un tempo l’immigrazione era senza ritorno. I polacchi di Francia e i siciliani d’America non avevano modo di mantenere i contatti con i loro paesi d’origine, la loro lingua e la loro cultura. Oggi le cose sono cambiate. Gli aerei, i telefoni, internet e la televisione satellitare hanno ridotto le distanze, e un immigrato ha la possibilità di guardare la tv del suo paese, conservare la sua lingua e insegnarla ai suoi figli, mentre chi ne ha i mezzi può tornare nella città natale per trascorrere le vacanze.

Per questo motivo un immigrato algerino resta un algerino in Francia, anche se in Algeria è considerato francese, mentre gli Stati Uniti diventano sempre più un paese bilingue dove qualsiasi politico ha tutto l’interesse elettorale a imparare almeno qualche parola di spagnolo. In tutti i paesi coinvolti dal fenomeno migratorio il multiculturalismo è ormai una delle caratteristiche dominanti della società contemporanea, e preoccupa il Tea party in America come il Front national in Francia o i mullah iraniani. Positiva o negativa che sia, la migrazione della cultura è una realtà che non si può negare.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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