27 agosto 2014 07:49

Tra il cessate il fuoco di ieri e quello che l’ha preceduto c’è una grande differenza. Questa volta, poche ore dopo l’annuncio del nuovo accordo israelo-palestinese per un’interruzione delle ostilità a Gaza, diversi leader dei due movimenti radicali che controllano la Striscia (Hamas e Jihad islamica) sono usciti dai loro nascondigli per arringare la folla.

Evidentemente non temevano di essere colpiti dagli israeliani e sapevano di potarsi mostrare in pubblico senza rischiare nulla. Ciò significa che l’accordo, di cui sappiamo ancora poco, è reale e sostanziale. Concluso dopo 50 giorni di guerra e definito “permanente”, prevede la riapertura dei valichi tra Gaza, Israele e l’Egitto (ovvero una cancellazione parziale del blocco) e un raddoppiamento dell’area marittima assegnata ai pescatori palestinesi. Queste erano due delle principali richieste di Hamas, che dunque può cantare vittoria. Ma cosa possiamo aspettarci dal dialogo che secondo i termini dell’accordo dovrebbe riprendere entro un mese?

Ben oltre le due concessioni israeliane, il movimento islamista ha appena ottenuto una grande vittoria. Prima dell’estate e prima della guerra era totalmente isolato, perché aveva rotto con l’Iran a causa della guerra in Siria e perché Egitto e Arabia Saudita, impegnati in uno scontro frontale contro il Fratelli musulmani a cui è legato Hamas, avevano deciso di collaborare per distruggere il nemico comune. Gli islamisti palestinesi non avevano più denaro né sostegno, ed è per questo motivo che hanno deciso di appoggiarsi all’Autorità palestinese (a sua volta indebolita dal fallimento del negoziato di pace con Israele) accettando di formare un governo di unità con i laici di Fatah. Hamas non aveva un grande peso all’interno del nuovo esecutivo, ma provocando questa guerra, resistendo a cinquanta giorni di bombardamenti israeliani e mostrando la forza militare acquisita il movimento è riuscito a tornare in gioco.

È questa la vittoria di Hamas, una vittoria politica. Tuttavia il movimento dovrà governare su un territorio distrutto, e buona parte dei suoi armamenti sono stati annientati dagli israeliani. Hamas non può più fare molto senza l’aiuto dei sauditi, degli egiziani e dell’Autorità palestinese, che intanto punta a ottenere un compromesso duraturo con Israele.

La verità è che oggi, volenti o nolenti, gli islamisti si ritrovano dalla parte di quei paesi arabi e di quei palestinesi che vogliono imporre un accordo di fondo al governo conservatore israeliano.

Gli equilibri sono stati alterati. Da ieri l’Autorità palestinese può nuovamente parlare a nome di tutti i palestinesi, e il suo presidente Abu Mazen ha già cominciato a farlo pretendendo da Israele un negoziato che non sia “oscuro” e che possa portare davvero alla fine dell’occupazione dei territori, ovvero alla creazione di uno stato palestinese. In questa guerra interminabile, è l’inizio di un nuovo capitolo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it