22 giugno 2014 08:30

Il 13 settembre del 2013 il corpo senza vita di una donna viene ritrovato a Bellevue, un sobborgo di Ginevra.

La polizia identifica la vittima come Adeline M., una socioterapeuta di 34 anni, scomparsa il giorno precedente mentre accompagnava in macchina un detenuto in un’uscita educativa.

L’uomo, Fabrice A., pluricondannato per stupro, si è dato alla fuga facendo scattare una caccia all’uomo che ha tenuto tutta la confederazione elvetica con il fiato sospeso per giorni finché non è stato rintracciato dall’Interpol in Polonia.

Estradato in Svizzera, Fabrice A. è ora detenuto in un carcere di massima sicurezza in attesa di giudizio e l’assassinio di Adeline M. ha provocato un acceso dibattito nazionale sulle condizioni di libera uscita dei detenuti e i metodi di reinserimento destinati ai criminali pericolosi.

Ci si chiede soprattutto come sia stato possibile che Adeline sia stata lasciata uscire dalle mura carcerarie da sola con uno violento squilibrato.

Non ci sono dubbi sul fatto che Fabrice A. sia colpevole, ma nei tantissimi articoli dedicati alla vicenda la stampa elvetica non l’ha mai mostrato a viso scoperto, non ha mai rivelato il suo cognome e continua a parlare di lui come il presunto assassino.

Anche sulla vittima si mantiene il massimo riserbo. Il suo cognome non è stato reso noto, per tutelare la privacy di tutti quelli che altrimenti sarebbero costretti ad essere immediatamente identificati con questa tragedia. Prima tra tutte la figlia della vittima, che ha solo pochi mesi, ma anche il suo compagno, che parla con la stampa a viso coperto e senza svelare il suo nome.

Racconto questa bruttissima storia perché a volte vedendo le cose da fuori si riesce a vederle con più chiarezza.

Quando abitavo in Italia non avevo mai pensato al fatto che rivelare l’identità di un assassino o della sua vittima potesse essere una violenza enorme nei confronti di tutti quelli che non hanno commesso delitti o che già soffrono abbastanza per aver subìto un grave lutto.

Ma alla civiltà ci si abitua presto, e ora aprire i giornali italiani e leggere titoli degni di una telenovela, con tanto di esami del dna e segreti di famiglia sbattuti in prima pagina, mi genera profondo disagio.

Chi ha ucciso deve essere giudicato e in caso pagare le conseguenze del suo atroce atto. Tutti gli altri sono innocenti e meriterebbero di non essere trascinati nel morboso carrozzone mediatico che è stato messo in piedi dalla stampa italiana.

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