24 luglio 2014 15:09

Le grandi aziende di tecnologia si battono a favore dei matrimoni tra persone delle stesso sesso, ma non lo fanno solo per una questione di parità. Ultima puntata della serie di articoli su multinazionali e diritti gay.

Il gay pride a San Francisco, in California, il 29 giugno. (Noah Berger, Reuters/Contrasto)

Apple, Google, Facebook, Amazon e Microsoft sono alcune delle centinaia di aziende che l’anno scorso hanno firmato un appello indirizzato alla Corte suprema americana per dichiarare che i limiti federali al riconoscimento dei matrimoni tra persone dello stesso sesso danneggia i loro affari.

Questi limiti a livello federale, si legge nel documento, obbligano le aziende a discriminare gli impiegati e a tradire i propri valori fondamentali.

E i giudici li hanno ascoltati: il 23 giugno 2013 la Corte suprema ha invalidato il Defense of marriage act (Doma), la legge che impediva l’accesso al sistema di assistenza sociale federale alle coppie gay e lesbiche sposate negli stati in cui è legale.

Solo qualche anno fa sarebbe stato rischioso per una multinazionale prendere una posizione così netta su un tema che divide profondamente l’opinione pubblica. Facebook e Google hanno miliardi di utenti e tra loro ce ne sono moltissimi contrari ai matrimoni gay.

Ma quelli a favore sono ormai la maggioranza, soprattutto tra i più giovani, e per le multinazionali il sostegno ai diritti lgbt è diventato un’efficace strategia di marketing.

La professoressa di Stanford Jane Schacter, specializzata nelle leggi sull’orientamento sessuale, lo spiega così: “Battersi contro le discriminazioni è diventato un modo di definire il proprio marchio, come a dire ‘noi siamo il futuro, siamo le aziende di domani, non di ieri’. E credo che abbiano molto poco da perdere”.

Mai come quest’anno così tante aziende hanno partecipato e sponsorizzato le parate del gay pride in giro per gli Stati Uniti. Anche se forse non tutti erano mosse solo da un sincero desiderio di parità.

Burger King, per esempio, per l’occasione ha messo in commercio in California il proud whopper, un’ edizione limitata del suo panino più famoso.

Il proud whopper. (Burger King/Ap/Lapresse)

Ma Burger King è la stessa azienda che tempo fa ha diffuso a Singapore una pubblicità offensiva che non sembra avere molto a cuore la parità:

Le multinazionali a volte cavalcano il favore dell’opinione pubblica nei confronti dei diritti lgbt, salvo poi avere strategie di comunicazione molto diverse nei paesi dove la parità tra uomo e donna, o etero e gay, non è una priorità.

Il numero di spot pubblicitari con protagonisti gay è in continua ascesa. Ma, a differenza di quello che si sente dire, il target non sono solo i consumatori omosessuali (che nonostante siano inseguiti dal marketing sono comunque una piccola fetta del mercato), ma soprattutto gli etero a favore dei diritti civili. Che invece sono molti e diventeranno sempre di più.

Ecco alcune pubblicità con personaggi lgbt.

Barclays (Regno Unito)

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McDonald’s (Francia)

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Cinzano (Argentina)

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Ikea (Austria)

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Doritos (Stati Uniti)

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Toyota (Giappone)

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Coca-Cola (Egitto)

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Findus (Italia)

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Ed ecco un altro spot francese andato in onda nell’inverno del 2013, il momento più caldo del dibattito nazionale sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, in cui la Renault ha preso una posizione molto chiara sulla questione:

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Infine ecco uno spot della Honey Maid, produttore di crackers statunitense, in cui compare una famiglia omoparentale:

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Per dimostrare che un atteggiamento gay friendly è la scelta giusta, la Honey Maid ha poi pubblicato questo video in risposta alle critiche ricevute dai suoi consumatori:

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Insomma, la parità di diritti è un buon business per le aziende. Alcuni sono infastiditi dall’idea che le multinazionali difendono i diritti civili solo per interesse economico, ma io la trovo comunque una buona notizia.

Perché questo mostra che le grandi aziende possono reagire e adeguarsi alle nostre priorità morali. Se domani le politiche ambientali delle multinazionali diventassero una tema vitale per la maggioranza dei consumatori, capace davvero di influenzare le loro scelte di consumo, le multinazionali li accontenterebbero. Perché gli conviene.

Lo stesso vale per lo sfruttamento della manodopera nei paesi poveri, l’uso di sostanze nocive nell’alimentazione o qualunque altra pratica aziendale di natura etica o sanitaria. Perché è vero che le multinazionali inseguono i soldi, ma i soldi sono comunque nelle nostre mani.

Multinazionali e diritti gay

  1. La parità è un buon business

  2. Le aziende che esportano i diritti

  3. L’omosessuale vende

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