20 marzo 2012 18:06

Con questo post, Eric Jozsef, corrispondente dall’Italia del quotidiano francese Libération e del quotidiano svizzero Le Temps, comincia il suo blog su Internazionale.

Per la strage di lunedì 19 marzo nella scuola ebraica di Ozar-Hatorah non c’è ancora un colpevole ed è dunque prematuro fare ipotesi. Sopratutto è ancora presto per concludere che l’omicidio del professore e dei tre bambini ebrei sia collegato con l’uccisione a Montauban, quattro giorni prima, di due soldati francesi originari del Maghreb e dell’agguato, l’11 marzo a Tolosa, a un altro soldato di origine araba, Imad Ibn Zaiten.

La polizia francese segue comunque la pista di un individuo responsabile dei tre episodi, accomunati dal movente razzista e antisemita. Tuttavia si deve riflettere anche sulla similitudine tra la sparatoria a Tolosa davanti alla scuola ebraica e il gesto omicida di Gianluca Casseri tre mesi fa a Firenze, dove furono uccisi due cittadini senegalesi, e il massacro compiuto da Anders Breivik in Norvegia il 22 luglio scorso, quando vennero uccisi quasi cento ragazzi in un campo estivo del Partito laburista.

Il rischio è di minimizzare questi episodi cercando di limitarne il significato. Si è cercato in effetti, almeno per quanto riguarda Utøya e Firenze, di ridurre le stragi a dei gesti folli di individui isolati o marginalizzati. Ma tre attentati in un arco di tempo così breve e con la stessa matrice ideologica - cioè la “purificazione” delle società europee che rischiano, secondo i killer, il declino per colpa di presunte comunità patogene - sono spie allarmanti.

Dimostrano che la radicalizzazione di ispirazione razzista e antisemita non si esprime più solo sul piano verbale o dimostrativo da parte di gruppi neonazisti o di siti internet. Dalla fine della seconda guerra mondiale mai, in Europa, una bambina ebrea era stata presa per i capelli e uccisa a sangue freddo con un colpo di pistola alla testa, com’è successo lunedì nella piccola scuola di Tolosa.

Ovviamente, non bisogna arrivare a semplificazioni estreme, costruendo paragoni che non hanno ragion d’essere, pensando per esempio che l’Europa di oggi stia per rivivere la tragedia degli anni trenta sulla spinta di una crisi economica e sociale dilagante. Il nazismo - come il fascismo o il totalitarismo staliniano - non posso essere capiti senza contestualizzarli nel primo dopoguerra, quando la violenza, la paura e la morte si erano diffusi in tutto il continente.

Oggi parliamo di estremisti che non hanno il consenso delle istituzioni e delle classe dirigenti. Però Utøya, Firenze e Tolosa non possono nemmeno essere archiviate come la sola espressione di menti folli e incontrollabili.

È necessario svuotare il bacino politico e la tolleranza intorno a cui si sono stati elaborati questi progetti omicidi. Come si è sentito dire troppo frettolosamente, Gianluca Casseri non era da solo al mercato di piazza Dalmazia. Era in compagnia di Anders Breivik e del killer di Tolosa. E la risposta non dovrebbe essere solo della società norvegese, o italiana, o francese.

Il minuto di silenzio chiesto nelle scuole dal presidente Sarkozy avrebbe probabilmente dovuto essere esteso all’Europa intera. E anche il massacro dei due lavoratori senegalesi di Firenze avrebbe dovuto suscitare una reazione più forte fuori dai confini italiani. Perché è il nostro vivere comune, la nostra civiltà basata sulla memoria condivisa, a essere preso di mira.

Al di là della reazione della polizia, non è pensabile fare a meno di un sussulto civile e di una prospettiva politica per contrastare il diffuso sentimento di decadenza delle nostre società europee, che nelle menti più folli e angosciate si esprime nella ricerca di capri espiatori. Che siano militanti del Partito laburista norvegese, lavoratori senegalesi a Firenze o bambini ebrei di quattro, cinque e sette anni a Tolosa.

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