14 gennaio 2014 12:00

“Bellissimo il numero di Internazionale dedicato alla Polonia, una bella sfida con tutti quei segni diacritici e grafie ostiche. Ve la siete cavata egregiamente”, ci scrive Laura. “Ma c’è un errore: il protagonista della saga di Jacek Piekara si chiama Mordimer Madderdin, non Mordimerze Madderdinie, che è il dativo”.

La lettrice ha ragione: “Il polacco ha ben sette casi, e in italiano bisognava usare il nominativo”, spiega Marzena Borejczuk, che ha tradotto alcuni racconti e ha collaborato con noi a questo numero polacco. Altri punti critici? “Per un italiano può essere difficile districarsi nella grande varietà di prefissi del polacco, che modificano il significato delle parole in modo sorprendente e spesso irrazionale”. E l’alfabeto? “Non è un problema. Trovo più significativo il fatto che, a differenza dell’italiano (più rigido, normativo, resistente alle novità), il polacco sia una lingua curiosa, malleabile, in continua evoluzione, che ha una grande facilità a creare neologismi”.

Quindi ogni traduzione è un’impresa! “È un lavoro che mi appassiona: accogliere le storie degli altri nel proprio spazio linguistico e culturale significa spaccare il guscio protettivo della propria identità, aprirsi al nuovo, all’inatteso. Lo scambio di racconti è il modo più bello per conoscersi”.

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