23 ottobre 2013 12:00

Antonio Scurati, Il padre infedele

Bompiani, 188 pagine, 17 euro

A dispetto di una scostante copertina – di quelle, nello stile delle pubblicità di piatti alla moda, che vanno rovinando la Bompiani e la Bur – il nuovo romanzo di Antonio Scurati è il miglior libro italiano recente e conferma il talento di uno scrittore tra i pochi che sa cos’è la scrittura e sa essere lucidamente sgradevole, nonostante, in questo caso, un cauto ottimismo pedagogico.

Quel che resta di buono dell’esperienza di vita del protagonista, cuoco intellettuale, è davvero poco, in un mondo proprio di oggi e in una Milano definitivamente inaridita e minutamente attraversata, tra un “pubblico” alienato e fasullo – l’Italia di questi anni – e un “privato” confuso e manipolato (dal “pubblico”, dalle mode, dai nuovi luoghi comuni e pratiche conseguenti). E quel poco è la paternità, l’assunzione di responsabilità nei confronti della bambina nata da un matrimonio imperfetto.

Nonostante anche qui – a cominciare dalle pagine da antologia sulla preparazione di gruppo all’evento parto o “partocipazione” – per Glauco (il ristoratore narrante e pensante, nevrotico e frastornato da un contesto che è di tutti) la strada sia frastagliata di insoddisfazioni, interrogazioni, sordità, narcisismi, passi falsi e infine mediocrità tremendamente comuni. Il poco che resta è, per Glauco, di sé e di tutto, la paternità, e chissà se può bastare, quando ridotto a una logica solo privata e direi biologica.

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