29 luglio 2014 11:15

*Alcune famiglie cristiane fuggite da Mosul ricevono aiuti nel villaggio di Qaraqosh, in Iraq, il 20 luglio 2014. (Mohammed Al Mosuli, Epa/Corbis) *

La settimana scorsa si sono verificati due fatti di grande importanza agli estremi opposti del mondo arabo. Nel nord dell’Iraq, recentemente conquistato dagli estremisti dell’autoproclamato Stato islamico, i cristiani di Mosul sono stati messi davanti a una scelta: convertirsi all’islam, pagare una tassa speciale (circa 750 dollari) o morire. Sono fuggiti tutti, e per la prima volta da due millenni a Mosul non ci sono più cristiani.

Nel frattempo, in Sudan, Meriam Yehya Ibrahim ha ottenuto il permesso di lasciare la sua patria dopo aver passato gli ultimi mesi in una cella. La giovane donna incinta era stata condannata all’impiccagione da un tribunale sudanese per essersi “convertita” al cristianesimo, ma il governo non poteva ucciderla legalmente prima della nascita del suo bambino.

Queste due vicende non sono sufficienti a definire le politiche degli stati arabi in cui tradizionalmente vivono minoranze cristiane (cioè la maggioranza dei paesi). Nei governi di grandi stati arabi come Siria, Iraq ed Egitto ci sono ministri cristiani e la legge garantisce la libertà di culto.

Il Sudan, il cui sistema legale è basato sulla sharia, discrimina i suoi cittadini a seconda della loro religione. In realtà le leggi sembrano penalizzare soprattutto i musulmani, che per esempio non possono abbandonare la loro fede, pena la morte. La legge in questione è quella che ha quasi ucciso Meriam Yehya Ibrahim.

Il padre di Meriam era un musulmano, ma ha abbandonato la famiglia quando la figlia era molto piccola. La madre cristiana l’ha educata alla fede cattolica. Tuttavia secondo la legge sudanese i figli prendono la religione del padre e professare un culto diverso significa commettere il reato di apostasia. Meriam si è rifiutata di abbandonare il cristianesimo, così è stata condannata all’impiccagione.

Per fortuna a Khartoum hanno capito il concetto di cattiva pubblicità. Inoltre è probabile che l’accusa sia nata da un tentativo di ricatto fallito. Meriam è un medico, e suo marito (anche lui cristiano) ha la doppia cittadinanza sudanese e statunitense. Per una tipica famiglia povera sudanese – per esempio quella del padre – questo significa denaro.

Meriam è stata accusata di essere una musulmana che ha abbandonato la fede e ha sposato un cristiano (entrambi crimini che prevedono la pena capitale), ma probabilmente all’inizio la vicenda si è svolta in privato. Poi però sono entrati in scena i professionisti della “difesa dell’islam”, che hanno chiesto l’esecuzione dell’apostata, e il governo sudanese è stato costretto ad applicare le sue leggi.

Meriam si è salvata soltanto perché era incinta e non poteva essere legalmente uccisa fino a quando il figlio non avesse compiuto due anni. Questo ha permesso agli elementi più ragionevoli del governo sudanese di lavorare con calma insieme agli avvocati e con i diplomatici italiani e statunitensi per trovare una soluzione (nel frattempo l’accusata è rimasta incatenata al pavimento della sua cella per sei mesi, fatta eccezione per l’ultimo).

Alla fina tutto si è risolto nel modo migliore e il 24 luglio Meriam, il figlio di venti mesi e la figlia appena nata hanno lasciato Khartoum, sono atterrati a Roma e sono stati ricevuti dal papa.

“Meriam non è felice di aver lasciato il Sudan. Ama il suo paese, è il luogo dove è nata e cresciuta”, ha spiegato il suo avvocato alla Bbc. “La sua vita è in pericolo, per questo deve andarsene. Due giorni fa un gruppo chiamato Hamza ha dichiarato di voler uccidere lei e chiunque la aiuti”.

Un (quasi) lieto fine per questa storia, ma sullo stesso volo c’erano probabilmente molti cristiani sudanesi che hanno lasciato il paese con molto meno clamore. Per i cristiani non è più ragionevole vivere in Sudan, e la stessa situazione si sta verificando anche in Iraq.

Quando gli statunitensi e i loro alleati hanno invaso l’Iraq, undici anni fa, a Mosul c’erano ancora 60mila cristiani. L’anno scorso ne erano rimasti 30mila e oggi, ad appena due mesi dall’avvento degli estremisti dello Stato islamico, sono spariti del tutto. La maggior parte di loro è fuggita in Kurdistan senz’altro bagaglio che i vestiti che avevano indosso. Non vogliono tornare indietro e se potranno lasceranno il Medio Oriente.

Cos’è cambiato? Per secoli le minoranze cristiane dei paesi arabi hanno vissuto in relativa pace e prosperità sotto il dominio musulmano. All’inizio del novecento erano l’avanguardia del rinascimento nazionalista e culturale del mondo arabo, ma nell’ultimo decennio circa un quarto dei 12 milioni di di cristiani del mondo arabo ha deciso di emigrare. Il flusso si intensifica ogni anno.

Diversamente da Meriam e dai cittadini di Mosul, la maggior parte dei cristiani non fugge da una condanna a morte. Ma molti si sentono comunque esclusi dal mondo arabo, sempre più estremizzato e ossessionato dalle differenze religiose (tra musulmani e cristiani, tra sciiti e sunniti). Hanno perso la speranza. Sono arabi che non hanno più un posto nel mondo arabo e ora devono trovare una casa altrove.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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