16 settembre 2014 14:20

Un gruppo di imam e organizzazioni che rappresentano i musulmani britannici ha scritto al primo ministro britannico David Cameron chiedendogli di non usare più l’espressione “Stato islamico” a proposito del nuovo paese creato in Iraq e Siria dagli estremisti islamici. È così che Abu Baqr al Baghdadi, autoproclamatosi “califfo di tutti i musulmani e principe dei credenti”, definisce il territorio che ha appena conquistato, ma in questo modo mette in cattiva luce i musulmani comuni.

I leader musulmani britannici hanno dichiarato che “i mezzi di comunicazione, la società civile e i governi dovrebbero rifiutarsi di legittimare quest’assurda fantasia del califfato accettando o diffondendo questo nome. Proponiamo l’espressione ‘Stato non islamico’ (‘Unislamic state’, Uis) come valida e più precisa alternativa per descrivere questo gruppo e il suo programma, e inizieremo a chiamarlo così”.

In bocca al lupo. Nel frattempo, però, altri due “Stati non islamici” stanno venendo creati in Libia e in Nigeria: le stesse bandiere nere, lo stesso crudele fanatismo, persino gli stessi passamontagna (è un’affermazione di stile).

La città di Maiduguri è la capitale dello stato di Borno, nella Nigeria nordorientale, che ha più di due milioni di abitanti. È circondata dalle milizie di Boko haram (che si può tradurre più o meno come “l’educazione occidentale è peccato”) che controllano già gran parte dello stato. L’intero angolo nordorientale della Nigeria non è più sotto il controllo del governo.

“In questo preciso momento”, ha riferito la scorsa settimana al quotidiano The Independent Alhaji Baba Ahmad Jidda, segretario presso il governo dello stato del Borno, “la maggior parte dello stato di Borno è occupata dai militanti di Boko haram. La presenza e l’amministrazione del governo sono ridotte ai minimi termini, e i servizi economici, commerciali e sociali sono completamente assoggettati. Scuole e ospedali sono chiusi”.

Fin dall’inizio delle sue operazioni nel 2009, l’obiettivo finale di Boko haram è stato creare uno stato islamico in Nigeria. Il gruppo è stato sin dalle sue origini in contatto con Al Qaeda, e poi con i gruppi jihadisti in Siria che avrebbero in seguito dato vita allo Stato islamico di Iraq e Siria per poi diventare lo Stato islamico che oggi si estende in quei due paesi.

Solo la popolazione della metà settentrionale della Nigeria è musulmana, ed è stato proprio qui che Boko haram ha concentrato i suoi omicidi e i suoi rapimenti, anche se ha compiuto alcuni attentati terroristici anche nelle regioni a maggioranza cristiana. Tra il 2009 e il 2013 Boko haram ha ucciso circa 3.600 persone, ma da allora si è registrata un’ulteriore accelerazione: solo nella prima metà di quest’anno ci sono state oltre duemila vittime.

Da metà luglio, il leader di Boko haram Abubakar Shekau ha inoltre modificato la sua tattica: alle incursioni mordi e fuggi ha sostituito la conquista e il controllo del territorio. Ad agosto, dopo che i suoi miliziani hanno conquistato la città di Gwoza nello stato di Borno, ha diffuso un video in cui dichiarava che quell’area faceva “ormai parte del califfato islamico”. Attualmente governa su circa tre milioni di persone tra la Nigeria nordorientale e il vicino Camerun.

L’esercito nigeriano ha opposto poca resistenza a Boko haram. Come l’esercito iracheno, che è fuggito di fronte ai militanti dello Stato islamico nonostante fosse in superiorità numerica, è corrotto e mal equipaggiato, ma è anche profondamente infiltrato da simpatizzanti di Boko haram: a giugno quindici alti ufficiali dell’esercito sono stati condannati dalla corte marziale per aver fatto fornito armi e informazioni al gruppo. Shekau potrebbe davvero assumere il controllo di gran parte della Nigeria settentrionale.

La Libia sta percorrendo la stessa strada. Tra le varie milizie emerse dopo il rovesciamento di Muammar Gheddafi nel 2011, è esplosa una guerra civile subito dopo le elezioni di giugno che avrebbero dovuto dare vita a un governo capace di disarmarle. La situazione è degenerata al punto che un milione e ottocentomila persone, quasi un terzo della popolazione della Libia, hanno lasciato il paese, cercando rifugio soprattutto in Tunisia.

Le reali divisioni tra queste milizie sono regionali e tribali, ma alcune hanno adottato ideologie estremiste islamiche, anche perché questo garantisce loro un flusso di armi e denaro da alcuni governi del golfo Persico. Le milizie islamiste alla fine hanno riportato la vittoria negli aspri combattimenti intorno alla capitale Tripoli e nell’altra città principale del paese, Bengasi.

Milizie con ideologie simili a quella dello Stato islamico attualmente controllano tutte le città costiere della Libia eccetto Tobruk, vicino al confine con l’Egitto. È qui che si è rifugiato il parlamento eletto a giugno, e i deputati vivono su un traghetto greco preso in affitto e utilizzato come albergo galleggiante. La linea del fronte è appena a ovest della città, e il centro più vicino sulla costa, Derna, è stato dichiarato parte del califfato islamico.

Naturalmente si tratta soprattutto di una moda ideologica. I vari “califfati” sono in contatto tra di loro, ma non esiste nessuna strategia generale. Tuttavia i risultati sono davvero terribili sia in Nigeria che in Libia, e il rischio di una reazione sproporzionata da chi si sente minacciato da questi sviluppi, soprattutto in occidente, è molto alto.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it