14 aprile 2014 18:17

All’inizio di aprile è finita sulle prime pagine britanniche, scavalcando anche l’ultima puntata del mistero del volo MH370, la notizia che dobbiamo mangiare più frutta e verdura.

Da anni, basandosi sui consigli dell’Organizzazione mondiale della sanità, il governo britannico ha promosso lo slogan “Five a day”: mangiare almeno cinque porzioni di frutta e verdura al giorno per abbassare il rischio di malattie cardiache, infarto, alcune forme di cancro, diabete, obesità e una serie di altri problemi (sono definiti una porzione 80 grammi di frutta o verdura, ma questa definizione ha più deroghe ed emendamenti della legge di stabilità, anche per tenere buoni i produttori di cibi trattati e conservati).

Adesso una ricerca dell’università di Londra condotta per sette anni su 65.226 persone (donne e uomini) ha dimostrato che le cinque porzioni non bastano, perché più frutta e verdure mangi, meno probabilità hai di morire prematuramente. Secondo i risultati dello studio, che è stato aggiustato per eliminare altri fattori (come età, sesso, peso, assunzione di alcool e sigarette, fascia di reddito eccetera), la relazione tra consumo di frutta e verdura e abbassamento della mortalità è netta.

Chi mangia fino a cinque porzioni al giorno riduce la mortalità del 29 per cento rispetto a chi ne mangia meno di una porzione giornaliera; mangiarne sette porzioni o più la riduce del 42 per cento. La scoperta dell’acqua calda, dirà qualcuno, ma a sorprendere è la nettezza del guadagno di longevità una volta esclusi altri fattori, oltre al fatto (non scontato) che il consumo di succo di frutta non serve a niente e mangiare frutta in scatola o frutta congelata (lo studio ha raggruppato le due categorie) addirittura peggiora le cose. Infine, le verdure hanno effetti migliori rispetto alla frutta. Infatti molti esperti indicano la campagna governativa australiana

Go for 2&5 (due porzioni di frutta più cinque di verdura, o veggies come dicono gli australiani) come quella più efficace e scientificamente valida.

Le nuove disposizioni britanniche sono state diffuse dai mezzi d’informazione - e ricevute dagli utenti - come una punizione collettiva, come se si trattasse di dosi di olio di ricino e non di una componente normale di una dieta sana. “Forse si tratta di un errore, o di un pesce d’aprile”, ha scritto un lettore del Guardian in un commento (infatti, la notizia è uscita il 1 aprile). “Siamo sicuri che non dovevano essere sette porzioni a settimana?”. Qualcun altro si è messo a calcolare la quantità di cibo totale che bisognerebbe mangiare ogni giorno per assumere tutte quelle verdure, come se fosse impensabile mangiare la verdura se non come contorno a un bel piatto di carne o di pesce.

La mia prima reazione alla notizia è stata: “Meno male che vivo in Italia”. Trovo sempre meno comprensibile l’ansia nutrizionale dei miei compatrioti, che vengono sconvolti da ogni nuovo studio che dimostra, per esempio, che le uova fanno bene, che le uova fanno male, e via discorrendo per la carne, il vino rosso, il grano e così via. Qualcuno forse risponderà che tanto gli inglesi mangiano male e quindi che ti puoi aspettare. Ma chi ha passato un po’ di tempo nel Regno Unito negli ultimi quindici o vent’anni saprà che questa regola non vale più: anche se c’è ancora chi mangia male, c’è anche chi mangia molto bene. La Gran Bretagna è piena di Farmers’ markets, i libri di ricette sono in testa alle classifiche, programmi televisivi come Masterchef sono strapopolari e i ristoranti ormai, almeno nelle grandi città, hanno raggiunto degli standard altissimi.

Quello che resiste, però, in mezzo a questa rivoluzione gastronomica, è quella che si potrebbe definire un’insicurezza alimentare. Già il fatto che una campagna governativa indirizzata a farci mangiare più frutta e verdura finisca in prima pagina la dice lunga sulle nostre paure: mangiare bene non è una cosa naturale, ma una materia difficile da studiare se vogliamo essere promossi. Non mi risulta, per fare solo un esempio, che la campagna Frutta nelle scuole promossa in Italia nell’aprile del 2010 dal ministero delle politiche agricole alimentari e forestali abbia avuto la stesso eco.

Il giorno dopo l’uscita della notizia eclatante che mangiare vegetali ci fa bene, ero in fila (all’italiana, ci tengo a dirlo) davanti a una bancarella di frutta e verdura nel mercato coperto di Città della Pieve. Ho cominciato a chiacchierare con una signora accanto a me dei carciofi e dei modi migliori per prepararli. Abbiamo concordato che per esaltare i sapori di questa pianta affascinante non c’è niente di meglio della ricetta del carciofo alla romana, con la mentuccia. E mi è venuto in mente che davanti a una bancarella di Bristol o Leeds un discorso del genere sarebbe stato visto come snob, da intellighenzia slow food, mentre in Italia è normale (e non mi dite che il carciofo è poco inglese: è vero che è meno diffuso, ma è coltivato in Gran Bretagna dal seicento).

Detto questo, se noi britannici soffriamo di insicurezza, in Italia il problema è quasi l’opposto. Qui è scontato che tutti sappiano cucinare. Quelli che non lo sanno fare - e sono parecchi, donne e uomini - sono costretti a vivere come dei clandestini. Chissà se dietro al successo (sorpendente, almeno per me) di Masterchef in Italia non ci sia una schiera di italiani ansiosi di imparare, che non comprerebbero mai un libro di ricette perché sarebbe come scriversi sulla fronte: “I miei non mi hanno cresciuto bene”.

Non sono solo i britannici, poi, a credere che le verdure hanno un ruolo solo come contorno: anche in Italia non ci sono tante famiglie che si riuniscono la sera intorno a un’insalatona. Per non parlare poi del fatto che in molte famiglie la pasta dev’essere servita sia a pranzo sia a cena.

Gli ultimi dati forniti dal ministero della salute nell’ambito del progetto Okkio alla salute (Sistema di sorveglianza sulle abitudini alimentari e sull’attività fisica dei bambini delle scuole primarie) ci dicono che il 22,2 per cento dei bambini italiani della terza elementare (8-9 anni) è sovrappeso e il 10,6 per cento è obeso. Il 9 per cento non fa colazione, il 31 per cento fa una colazione non adeguata, il 22 per cento non mangia frutta e verdure tutti i giorni, mentre il 44 per cento consuma quotidianamente delle bevande zuccherate e/o gassate. Sempre il 44 per cento (forse lo stesso 44 per cento?) ha una tv in camera da letto.

Morale? Non va bene né l’insicurezza britannica né l’orgoglio italiano per la dieta mediterranea. Sembra banale dirlo, ma certi consigli - come quello di mangiare più vegetali, preferibilmente crudi - valgono ovunque, anche in Italia.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it