13 maggio 2012 08:57

“Per la crescita non c‘è bisogno di soldi”. È questa la secca replica da parte del governo tedesco a chi, dopo la vittoria di François Hollande alle presidenziali francesi, vuole riaprire il discorso sulle politiche da intraprendere per fronteggiare la crisi dilagante in Europa.

Dunque pare che, dopo la sconfitta di Nicolas Sarkozy, la Germania di Angela Merkel si trova più sola, ma più determinata che mai a insistere sulla politica del rigore. Certo, anche Merkel nelle ultime settimane ha parlato spesso di “politiche per la crescita”, ma non vuole sentire parlare di euro bond, di allentamento dei criteri per il calcolo del deficit (per esempio sottraendone gli investimenti statali, come proposto da Mario Monti) o addirittura di un nuovo ruolo più attivo della Bce.

E sarà molto duro vincere le resistenze tedesche, resistenze che vengono da lontano e che solo in minima parte hanno a che fare con quei vantaggi contingenti di cui proprio la Germania gode in questo momento di crisi. Lo spread tra la Germania e gli altri paesi – in primis Spagna e Italia – infatti cresce non solo perché aumentano gli interessi sui titoli degli altri, ma anche perché parallelamente calano vertiginosamente gli interessi che deve pagare la Germania: oggi il paese si indebita a tassi inferiori all’inflazione.

Ma dietro la rigida posizione tedesca c’è ben di più: c’è una filosofia di fondo che domina la politica tedesca da decenni e che gode di un solidissimo sostegno dell’opinione pubblica. Una filosofia che si fece sentire con forza nei passaggi della costruzione dell’euro durante gli anni novanta.

Infatti la Germania non voleva l’euro: lo subì, come imposizione dell’allora presidente francese François Mitterrand al suo amico Helmut Kohl. Voi volete l’unificazione tedesca? Allora dovete rinunciare al marco: era questo lo scambio a cui Mitterrand costrinse Kohl. Mitterrand aveva ottime ragioni per questa mossa. Infatti il marco si era affermato come moneta guida in Europa. Qualsiasi variazione dei tassi decisa dalla Bundesbank era praticamente vincolante anche per gli altri paesi, che già prima dell’euro quindi avevano perso gran parte della loro sovranità nel campo delle politiche monetarie.

Kohl accettò di stare al gioco, di rinunciare a sua volta alla sovranità della Germania in campo monetario, a sua volta imponendo criteri per la creazione dell’euro che lo facevano somigliare fin troppo al caro vecchio marco tedesco. Non a caso la Bce ha sede a Francoforte, non a caso la sua unica missione è la difesa della stabilità monetaria contro l’inflazione (e non, per dire, la difesa dei livelli di occupazione), non a caso vennero imposti i rigidissimi criteri di Maastricht su deficit, debito e inflazione.

Per la Germania il modello ha pagato: il surplus dell’export sull’import, a cominciare da quello verso gli altri paesi euro, è schizzato alle stelle. Infatti da un lato nella zona euro si trovavano paesi a forte vocazione industriale – il cosiddetto nucleo forte dell’Unione –, dall’altro paesi come la Spagna o l’Irlanda che (con il plauso anche di economisti tedeschi per la “tigre celtica” o “il dinamismo” spagnolo) hanno attinto al credito internazionale per finanziare un boom in larga parte basato sul mattone (e sul deficit commerciale finanziato dall’afflusso di credito a basso costo).

Ora che i nodi vengono al pettine, ora che si capisce che l’euro ha unificato sotto il suo ombrello economie diversissime tra di loro, la Germania, lungi dall’affrontare gli squilibri europei, semplicemente insiste sul rigore, proponendo agli altri paesi di “fare come noi”. Il dramma per l’Europa è che questa posizione del governo è popolarissima tra gli elettori tedeschi. Elettori che in questo momento non hanno grande stima della coalizione fra Cdu e liberali (infatti se si votasse adesso la maggioranza perderebbe quasi sicuramente). Ma che seguono Merkel almeno sulle politiche europee. Anzi, molti cittadini chiedono ancora più rigore: rigore per gli altri paesi, ovviamente.

Due sono i motivi. Da un lato i tedeschi in questo momento vivono su un altro pianeta. In Spagna, in Italia, in Irlanda, per non parlare della Grecia, si vivono le conseguenze drammatiche di una crisi pesantissima, la Germania invece “tira”, la disoccupazione cala, i redditi aumentano. Crisi? Non da noi!

Dall’altro lato la maggioranza dei tedeschi, guardando all’Europa, da sempre è cieca da un occhio. “Siamo gli ufficiali pagatori dell’Europa”: è un detto vecchio ma sempre popolare tra i tedeschi. È vero, la Germania da sempre è il contribuente più importante per le casse dell’Unione. A sentire molti cittadini di Monaco o Amburgo gli altri paesi finanziano opere faraoniche, se non vere e proprie truffe miliardarie, “con i soldi nostri”.

E anche i vari ombrelli di salvataggio per l’euro (l’Efsm o l’Esm), vedono la Germania (essendo l’economia più grande dell’Ue) come maggiore contribuente. Più del 60 per cento dei tedeschi vive con paura e scetticismo questa esposizione del loro paese “formica”, a tutto beneficio di “paesi cicala” secondo il loro punto di vista non proprio ben informato ma ferratissimo sul presunto “costo” dell’Europa per Berlino. Infatti nessuno o quasi in Germania sa che il surplus commerciale del paese verso la zona euro negli ultimi anni è schizzato verso i 100 miliardi di euro annui.

Quindi gli altri paesi della zona euro dovranno fare i conti non solo con la cancelliera Merkel e la sua coalizione, ma anche con l’opinione pubblica tedesca. Un recente sondaggio rivela che più del 60 per cento dei tedeschi è contrario a politiche di crescita europee se quelle politiche comportano un aumento dei debiti pubblici. E colpisce ancora di più che i no sono trasversali: anche la maggioranza degli elettori della Spd, dei Verdi e persino della Linke rifiuta stimoli keynesiani alla crescita.

L’ascesa di Hollande in Francia sicuramente sposterà i pesi in Europa. Ma c’è da dubitare che basti. Forse la Germania comincerà a muoversi quando anche i suoi alleati più stretti in Europa cambieranno idea. Una prima avvisaglia c’è stata nei Paesi Bassi, un paese nel passato forse ancora più sospettoso verso i “peccatori del debito” dell’Europa del sud. Lì il governo è caduto poche settimane fa su una manovra di bilancio improntata al rigore. Ora tocca agli elettori olandesi decidere se vogliono un cambio di passo, nel loro paese e in Europa. Questo sì sarebbe un segnale forte per la Germania, più forte probabilmente del voto in Francia.

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