17 settembre 2012 15:11

“Al paese serve una vera guida”: È questa l’ultima trovata di Silvio Berlusconi, la promessa/minaccia di tornare in campo per salvare la patria. Berlusconi avrebbe un’ottima occasione per cominciare a fare la vera guida, magari dedicando le sue energie al suo partito. Le ultime notizie provenienti dalle file del Popolo della libertà (Pdl) ci raccontano di un governatore regionale – Roberto Formigoni – che si sarebbe fatto scrivere direttamente dai beneficiari (la fondazione Maugeri) le delibere di giunta che portavano milioni di euro nelle loro casse. In compenso Formigoni avrebbe goduto per anni di vacanze da nababbo e di altri favori.

E poi c’è il caso del gruppo PdL alla regione Lazio, con l’ex capogruppo Franco Fiorito che saldava i conti dei suoi viaggi privati in Sardegna direttamente dal conto corrente del gruppo. Un conto corrente che serviva da bancomat per “attività politiche” dei vari consiglieri del PdL, fatte di book fotografici, ostriche e champagne, automobili.

Dichiarazioni di Berlusconi su questi casi non risultano pervenute. Non ha chiesto di vederci chiaro, non ha preteso da Formigoni e dagli altri

gran viveur della politica di fare il famoso passo indietro. Non c’è da meravigliarsi. Certo il degrado morale e civile della politica italiana non si esaurisce nel nome di Berlusconi, ma è pur sempre lui il protagonista assoluto di una stagione quasi ventennale, che ha visto selezionati gli elementi peggiori per qualsiasi incarico pubblico. Una stagione che ha teorizzato l’impunità e quindi ha coltivato una sfrontatezza (senza pari nelle democrazie occidentali) di fronte ad accuse circostanziate di fatti di corruzione o di peculato. Che proprio Berlusconi, capofila di questa deriva, possa guidare l’Italia fuori da questo marasma sembra piuttosto improbabile.

Sta forse proprio qui il vero metro di misura del degrado della politica italiana: che si possa discutere seriamente dell’eventualità che un personaggio ampiamente fallito come capo del governo e completamente screditato all’estero possa candidarsi a succedere a se stesso. Ma c’è un secondo indice della profonda crisi del sistema politico: lo sfaldamento delle forze potenzialmente avverse – e nell’insieme sicuramente più consistenti – all’ex premier.

Se con le elezioni del 2008 l’Italia sembrava aver fatto un passo decisivo verso il bipolarismo, oggi invece uno scenario che vede in campo due forze egemoni sembra più lontano che mai. Conteremo alla fine almeno quattro schieramenti opposti alle destre populiste del PdL e della Lega: il Pd (probabilmente alleato a Sel), il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo (che si presenta in opposizione ai partiti tout court), una lista intorno a IdV (e forse alla Federazione di sinistra), un “grande centro” dai contorni ancora poco chiari. Rimane un rebus come da scenari simili possa nascere un governo espresso dai partiti. E c’è da temere che alla fine il paese si trovi con la riedizione di un governo tecnico e con una grosse koalition: due soluzioni di emergenza, non di normalità democratica. Ma soluzioni caldeggiate da gran parte dell’establishment di casa e dalle cancellerie di mezzo mondo: per loro Mario Monti è l’unico italiano affidabile; per loro, soprattutto, l’agenda Monti è senza alternative.

Forse sarebbe utile ricordare che in democrazia non dovrebbe mai esistere un’agenda senza alternative: stabilito quel principio le elezioni perderebbero ogni senso. Ma sono di nuovo i partiti italiani che nei fatti fanno poco per contrastare l’idea che loro in fin dei conti sono obsoleti. L’Italia sta vivendo la crisi più profonda dal dopoguerra: le difficoltà dell’industria crescono, i conflitti si acuiscono. Gli elettori si aspetterebbero parole chiare, proposte incisive su come affrontare il disastro ambientale dell’Ilva di Taranto, la crisi dilagante in Sardegna, la possibile chiusura di gran parte degli stabilimenti Fiat in Italia. Ma di fronte a questi problemi enormi la politica sembra diventata afona.

L’Italia rischia di perdere interi settori industriali. In una tale situazione ci aspetteremmo accesi dibattiti in parlamento sulle vie di uscita. Invece regna il silenzio, con la conseguenza che il paese rischia di perdere l’ultimo treno e i partiti il consenso. Sì, ha ragione Berlusconi: l’Italia ha bisogno di una vera guida. Espressa però non da improbabili salvatori della patria, ma da partiti capaci di esprimere progetti precisi e concreti per l’economia e la società italiana.

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