17 luglio 2013 12:09

Un’offesa all’intelligenza. Bastano poche parole per spiegare i due scandali di questi giorni in Italia. Sono un’offesa all’intelligenza le “informazioni” che ci vengono date sul caso di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazaco Mukhtar Ablyazov estradata dall’Italia a fine maggio. E consegnata nelle mani del dittatore Nursultan Nazarbaev insieme alla figlia di sei anni. Ma è un’offesa all’intelligenza anche il dibattito sull’uscita, degna del Sudafrica ai tempi dell’apartheid o del Missouri della segregation, del senatore Roberto Calderoli sulla ministra Kyenge.

Cominciamo dal caso Ablyazov-Shalabayeva. Si fa presto a raccontare i fatti. Ablyazov è un oligarca cresciuto alla corte del dittatore kazaco Nursultan Nasarbaev, rieletto varie volte dal 1990 con percentuali superiori al 90 per cento dei voti.

Negli anni novanta Ablyazov diventa ministro, si prende una banca, e diventa miliardario. Ma a un certo punto entra in contrasto con il capo e fonda un partito di opposizione. Finisce in galera, scappa nel Regno Unito e ottiene asilo politico. Poi un tribunale inglese lo condanna per il fallimento della sua banca, sequestrando i suoi beni.

Ablyazov sparisce dalla circolazione, ma il governo kazaco gli sta alle calcagna. Alla fine lo trovano alle porte di Roma, grazie alla collaborazione di un’agenzia investigativa privata italiana. Segue un blitz della questura di Roma, fatto da più di trenta uomini. Ablyazov non c’è, ma sua moglie sì. Non c’è nessun mandato di cattura a carico della donna, ma viene portata via, chiusa nel Cie di Ponte Galeria e infine caricata su un aereo privato noleggiato dal governo kazaco.

Il tutto succede nella più totale illegalità. La signora ha un permesso di soggiorno della Lettonia, ha ricevuto asilo politico dal Regno Unito, ha un passaporto diplomatico della Repubblica Centrafricana.

Ma poi ci raccontano – e qui sta l’offesa all’intelligenza – che tutto è successo all’insaputa del governo. I funzionari di polizia avrebbero agito di loro iniziativa. Peccato che il capo di gabinetto del Viminale, Giuseppe Procaccini, abbia ricevuto l’ambasciatore del Kazakistan proprio su ordine di Angelino Alfano. Ma poi Alfano si sarebbe disinteressato del caso.

Ci dobbiamo credere? Un arresto gestito come affare di stato, un‘“espulsione” fatta in fretta e furia usando un aereo privato, la moglie di un dissidente consegnata insieme alla figlia come ostaggi a un dittatore, e nessuno dei poliziotti, dei giudici coinvolti ha mai sentito il bisogno di coprirsi le spalle? La mozione di sfiducia nei confronti di Alfano, presentata da M5s e Sel, è sacrosanta. Ed è penoso che a pagare per la sottomissione dell’Italia a una dittatura sia un funzionario, non il ministro.

Ma è sacrosanta anche la pretesa che si faccia da parte il vicepresidente del senato, Roberto Calderoli. Lui ora si presenta contrìto, presenta le scuse a Cécile Kyenge e al presidente Napolitano.

Però precisa che il suo insulto “non era razzista”. Un giorno prima si era mostrato ben più baldanzoso. In un’intervista alla Stampa aveva detto che gli viene naturale paragonare persone e animali. Che c’è di male a dire che la Kyenge sembra un orango? “Razzista sarà lei a pensare che poteva essere inteso come un insulto!” Anche queste argomentazioni sono un’offesa all’intelligenza dei cittadini.

Non poteva mancare la voce di una senatrice grillina. Sono pur sempre elettori, quelli della Lega, vero? Questa volta ha parlato la cittadina Serenella Fucksia. Ha ricordato che quelli della Lega sono grandi lavoratori, e che Calderoli è “il miglior vicepresidente del Senato che ci sia. Quando è lui a presiederla, l’aula funziona benissimo”. E ha aggiunto che dire che la Kyenge assomiglia a un orango dopotutto “ci sta”.

È questo il livello del dibattito politico nell’Italia del 2013. Razzisti impuniti che cascano dal pero. Poi la Fucksia aggiunge: “Se qualcuno dà del maiale a Calderoli non rischia di beccarsi l’accusa di essere razzista”. Bel gioco. Si inventa l’insulto ipotetico, mai formulato da nessuno, per scusare quello reale di un becero razzista.

Almeno il capo della senatrice, Beppe Grillo, si è ricordato chi è Calderoli: un recidivo a cui piace tanto sguazzare nella melma razzista. Peccato che anche Grillo, come la Lega, abbia voluto mettere uno scandalo contro l’altro. Zitti quelli che hanno da ridire su Calderoli! Si ricordino quello che è successo alla dissidente kazaca!

A noi invece piace ricordare entrambi questi episodi. E ci piacerebbe vedere una democrazia capace di rimuovere dagli incarichi pubblici i responsabili di questi fatti. Persone che, oltre a disonorare la propria carica, vogliono prendere in giro gli italiani.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it