13 giugno 2014 15:35

Ricordate le “Quirinarie”, il voto online con cui i grillini scelsero il loro candidato alla presidenza della repubblica? I dieci papabili avevano una cosa in comune: erano tutti icone della sinistra, da Gino Strada a Milena Gabanelli, da Stefano Rodotà a Gustavo Zagrebelsky e Dario Fo. Alla faccia del “non siamo né di destra né di sinistra”: i più a destra tra i candidati erano Emma Bonino e Romano Prodi.

Era il febbraio 2013, ma sembra un secolo fa. Oggi i membri del Movimento 5 stelle sono stati chiamati a decidere sulla posizione che i propri deputati occuperanno nel parlamento europeo. E si sono trovati di fronte un’alternativa curiosa: o la destra moderata dei conservatori inglesi di David Cameron, o la destra vera e propria dell’Ukip di Nigel Farage.

Fa una certa tenerezza leggere sul sito di Beppe Grillo la presentazione dei due potenziali partner. Dei Tory veniamo a sapere che si battono per un “euro-realismo che rispetti la sovranità degli stati membri”. Di più: gli eredi della Thatcher credono “nella libera impresa, nel commercio”.

Meglio ancora l’Ukip: “È contro l’euro che ha generato povertà e disoccupazione.” Qui Grillo si è permesso una piccola inesattezza. Il partito di Farage non è soltanto contro l’euro, ma contro l’Unione europea in generale. Non vuole un’altra Europa, ma nessuna Europa. Fa niente: i populisti inglesi sembrano quasi, se si crede a Grillo, il partito gemello dell’M5s: “L’Ukip crede nella democrazia diretta ed è un partito contrario a ogni forma di discriminazione, accogliendo al suo interno membri di diverse etnie e genere che si sono uniti nella difesa della libertà e della democrazia.”

Sarà per questo che Farage in questi giorni sta ingaggiando, contro i Tories da un lato e il Front national di Marine Le Pen dall’altro, un’accesa battaglia per accaparrarsi i partiti populisti di destra europei, tra finlandesi, danesi, tedeschi, olandesi o austriaci, per poter formare un gruppo all’interno del parlamento europeo. E sarà sempre per questo che nella scorsa legislatura l’Ukip era alleato con la Lega nord, altra forza notoriamente impegnata contro “ogni forma di discriminazione”.

Tra gli attivisti e i parlamentari a 5 stelle molti non hanno gradito che non fosse possibile esprimersi su un’alleanza con i verdi europei. Infatti a vedere il programma del Movimento sembrerebbe la scelta più naturale: le cinque stelle (acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo) all’inizio denotavano una fortissima vocazione ecologista. E il programma vero e proprio è pieno di concetti “verdi”.

Ma quei concetti non contano più granché. Infatti nessuno o quasi di chi ha votato M5s alle legislative del 2013 o alle europee sarebbe capace di nominare uno solo dei punti programmatici originari. La forza dei grillini sta altrove: nel “tutti a casa!” e nell’attacco all‘“Europa della Merkel”.

Potremmo anche dire: una forza nata come movimento civico oggi si connota soprattutto come espressione e catalizzatore della rabbia e della sfiducia degli elettori. L’alleanza con Farage ne è la logica conseguenza, non un incidente di percorso. Certo, creerà un forte malcontento all’interno del Movimento, ma non pregiudicherà affatto il suo futuro politico. Infatti i cinque stelle hanno subìto una battuta d’arresto alle elezioni europee, ma non una disfatta: il 21 percento, per una forza politica presente sulla scena nazionale da appena un anno, è un risultato più che dignitoso, che è diventato una “sconfitta” solo a causa delle aspettative (“vinciamonoi!”) create da Grillo.

Quel 21 percento è una solidissima base per il futuro. Il patto con Farage o altre alleanze di dubbio gusto ci dicono molto sul modo in cui l’M5s vuole fare politica, ma incideranno poco sulle basi del suo successo. Quelle basi sono altrove: in un sistema corrotto fino al midollo che ogni giorno conferma le affermazioni più qualunquiste (“sono tutti ladri”, “è tutto un magna-magna”, eccetera), e in un’Europa che non offre nessuna prospettiva concreta oltre l’austerità.

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