15 settembre 2014 12:02

(Mark Weiss, Corbis)

Nel luglio del 1962, in quella che oggi potrebbe essere considerata una sfida preventiva all’intera carriera di David Blaine, un esploratore francese di 23 anni di nome Michel Siffre si seppellì per due mesi sotto un ghiacciaio. A più di cento metri di profondità, a diversi gradi sotto zero e confinato in una grotta, ben presto perse il senso del tempo.

Privato di tutti i mezzi che usiamo per tenere il conto dei giorni che passano – orologi, albe e tramonti, giorni feriali e festivi, compleanni, stagioni, vacanze – era sempre più disorientato. Prima le ore sembravano durare secondi, poi i minuti diventavano ore. La cosa che lo confondeva di più era che a volte le due cose sembravano accadere contemporaneamente. Dopo qualche settimana, fu sorpreso di ricevere un messaggio dalla superficie che gli chiedeva di tornare alla civiltà con un mese di anticipo. Solo che non era affatto un mese prima del previsto. Era settembre, e in quelli che a lui erano sembrati 34 giorni erano passati due mesi.

Non c’è esempio migliore per capire quanto abbiamo bisogno di punti di riferimento temporali per strutturare la nostra vita e rimanere sani di mente. E quei punti di riferimento esercitano una sottile influenza su di noi. Da un nuovo studio, pubblicato dal Journal of Consumer Research, è emerso che per le persone è più facile rispettare una scadenza di sei mesi fissata a giugno per dicembre che non a luglio per gennaio. L’inizio dell’anno è uno spartiacque: assimiliamo al presente il periodo che viene prima, quindi abbiamo la sensazione che le scadenze siano più urgenti, mentre tutto quello che viene dopo ci sembra lontanissimo.

Come spesso succede in psicologia sociale, esistono studi che sostengono l’esatto contrario, cioè che dovremmo programmare le scadenze importanti subito dopo spartiacque come le vacanze o i compleanni. Questa seconda teoria sostiene che in questo modo si accentua il contrasto tra il nostro io presente (che non ha ancora raggiunto l’obiettivo) e il nostro io futuro (che lo ha raggiunto), aumentando la concentrazione e la motivazione.

Probabilmente vi troverete meglio con un metodo se siete stimolati dalle grandi sfide e con l’altro se invece vi spaventano. In ogni caso, entrambe le teorie mettono in evidenza una verità più generale: i punti di riferimento temporali sono davvero importanti. Createne di più nella vostra vita – o prestate più attenzione a quelli esistenti – e vivrete il tempo in modo diverso che se lasciaste scorrere i giorni e gli anni in un flusso indifferenziato.

Se avete più di trent’anni, poi, c’è un altro motivo per farlo: i punti di riferimento possono attutire la terribile sensazione che con l’età il tempo corra più in fretta. Li usiamo per formare e trattenere i ricordi, grazie a quello che gli studiosi chiamano “effetto calendario”. Così, per esempio, gli studenti universitari ricordano meglio quello che è successo in prossimità dell’inizio o della fine del semestre, anche al netto delle emozioni della prima settimana o della laurea. Più punti di riferimento avete e meno correte il rischio di rendervi improvvisamente conto di non avere idea di come sia passato l’ultimo anno.

Tutto questo è un ottimo motivo per festeggiare i compleanni, per dare una festa d’addio quando lasciate un posto di lavoro o una città, per festeggiare il Natale anche se siete atei e forse perfino per organizzare un matrimonio fastoso piuttosto che uno modesto. Purtroppo non c’è bisogno di seppellirci sotto un ghiacciaio per avere la sensazione che un mese è passato in un soffio: basta una vita senza punti di riferimento.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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