30 settembre 2014 12:02

(Karl Dolenc, Getty Images)

Sappiamo tutti che la politica è un gioco cinico: per rimanere in carica anche una sola settimana è necessario scendere a compromessi, dire mezze verità, corrompere gli elettori ed essere disinvolti con i propri princìpi (quelli che affermano il contrario spesso finiscono per fornirne un’altra dimostrazione: “Respingo l’idea cinica che la politica sia inevitabilmente, o nella maggior parte dei casi, un affare sporco”, disse una volta Richard Nixon. Sì, proprio lui).

Recentemente i politologi sono rimasti sorpresi quando due di loro, David Broockman e Daniel Butler, hanno pubblicato un rincuorante studio secondo cui un buon modo per conquistare nuovi elettori è dire sinceramente quello che si pensa. E non lo hanno dedotto da un esperimento di laboratorio, ma interpellando veri cittadini e politici statunitensi.

Come prima cosa gli elettori sono stati intervistati per telefono, poi hanno ricevuto una lettera in cui un parlamentare si dichiarava favorevole a una proposta politica con cui l’elettore non era d’accordo. Invece di irrigidirsi sulle loro posizioni, gli elettori sono diventati un po’ più propensi a pensarla come il politico, e il loro giudizio complessivo non è cambiato in peggio.

È il genere di scoperte che ti ridanno fiducia nell’umanità: basta essere sinceri, non cercare di adulare gli elettori, e si è ascoltati. Allora la democrazia funziona!

Be’, forse no. C’è anche un altro modo di leggere questi risultati. In realtà, gli elettori hanno ricevuto due lettere diverse: una che esponeva in dettaglio la posizione di un politico, l’altra molto più vaga (la prima affermava che la posizione era giusta perché “avrebbe avuto un impatto positivo”, diceva. Grazie tante). In un mondo razionale ci si aspetterebbe che l’argomentazione dettagliata risulti più convincente. Invece no. L’argomentazione vaga si era dimostrata altrettanto efficace. A quanto sembra, è possibile convincere gli elettori che una scelta politica è giusta semplicemente “spiegandogli” che è giusta perché è giusta.

Il risultato non sorprenderebbe Ellen Langer, la psicologa di Harvard che nel 1978 ha dimostrato con quanta facilità ci lasciamo convincere dalle non spiegazioni. Chiese ai suoi ricercatori di provare a saltare una coda per le fotocopie. A volte dovevano usare una scusa accettabile: “Posso usare la fotocopiatrice perché vado di fretta?”. Quasi tutti glielo concedevano. Altre volte non fornivano nessuna giustificazione, e le persone che glielo permettevano erano molte di meno.

A un certo punto hanno provato con una pseudoscusa: “Posso usare la macchina perché devo fare delle fotocopie?”, e la percentuale di quelli che acconsentivano è risalita al 93 per cento. La gente non ha bisogno di un argomento persuasivo, le basta che chi vuole saltare la fila dica “perché” e poi emetta una serie di suoni qualsiasi che sembri una giustificazione (a dire il vero, l’effetto è scomparso quando i ricercatori hanno preteso di fotocopiare un fascio di fogli più voluminoso).

Studi come questo, a quanto pare, confermano che ci comportiamo come automi: Robert Cialdini, uno psicologo esperto di persuasione, paragona l’uomo ai tacchini femmina che trattano con affetto anche le puzzole impagliate se contengono un meccanismo che pigola come un pulcino.

Oppure possiamo concludere che apprezziamo la cortesia: se qualcuno cerca di offrire una spiegazione, almeno sta facendo un piccolo sforzo, ci sta dimostrando un po’ di rispetto. In un caso o nell’altro, è chiaro che per convincere qualcuno il tono conta almeno quanto il contenuto. Chiedete quello che volete, ma spiegatene chiaramente il motivo, o dite qualcosa che suona come un motivo. E usate sempre “perché”. Perché? Perché è una buona parola da usare.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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