27 settembre 2014 08:56

Come gli studenti che rientrano a scuola, così nei primi giorni di settembre uno dopo l’altro gli animatori-presentatori-produttori di dibattiti politici, i cosiddetti talkshow, riprendono la strada del piccolo schermo. E come i grandi calciatori, alcuni hanno cambiato squadra (Giovanni Floris ha lasciato la Rai per La 7 e il suo Ballarò per una nuova trasmissione che sarà difficile mancare, visto che si chiama Di martedì). Altri invece rimangono fedeli al loro programma, come Fabio Fazio che ritorna questo fine settimana sulla Rai per un’ennesima stagione alla guida di Che tempo fa.

Infine ci sono quelli che tornano a lavorare controvoglia come Michele Santoro, uno dei pionieri di questo genere. Il presentatore di Servizio pubblico (tutti i giovedì su La 7) ha appena ricominciato una nuova stagione con la promessa che sarà l’ultima. “I talk-show non funzionano più”, ha dichiarato Santoro, “l’anno prossimo smetto”. Ma così facendo ci fa l’impressione di quei tipi che promettono di smettere di bere ordinando un ultimo “bicchiere della staffa”.

Se facciamo bene i conti, un telespettatore medio italiano può seguire fino a una decina di programmi politici a settimana, domenica compresa. Facili da realizzare, poco costosi, questi programmi hanno invaso la televisione come la gramigna. Così il signor Rossi vedrà sfilare un giorno dopo l’altro gli stessi invitati – giornalisti e politici – che discutono degli stessi argomenti, cambia solo la scenografia e la forma delle poltrone.

Insomma, è come se ogni giorno dovessimo mangiare pasta all’amatriciana. È buona, ma alla lunga stanca. Il risultato è che l’audience è in caduta libera. Nel caso di Ballarò, per esempio, mentre la stagione scorsa raccoglieva il 12,5 per cento degli spettatori, adesso dopo due trasmissioni fa solo il 6,5 per cento di audience. Anche tenendo conto del cambiamento di presentatore, un tale crollo negli ascolti è quasi solo dovuto a un fenomeno di società.

La cosa che stupisce in tutto ciò è che quasi nessuno si è reso conto prima che il genere cominciava a mostrare la corda. Dopo la scomparsa di Berlusconi e quindi del carattere isterico della vita politica italiana, i dibattiti hanno perso molto del loro interesse e della capacità di fare audience. Ormai chiuso nella sua villa di Arcore, sotto la tutela della tesoriera del partito e della sua fidanzata, legato a un accordo politico con Matteo Renzi, Silvio Berlusconi e i suoi sostenitori hanno abbassato i toni. Chi oggi può interpretare il pensiero dell’ex Cavaliere? Chi ha ancora voglia di battersi per un capo escluso dal parlamento e che ha festeggiato i 78 anni?

La stessa domanda si pone, anche se in modo un po’ diverso, a sinistra. Renzi domina il suo schieramento, riempie il dibattito politico con le sue posizioni e per divulgare il suo pensiero si fida solo di se stesso. Quale ministro accetterà in uno studio televisivo di contraddire, anche se in modo limitato, la linea dettata da palazzo Chigi? Quale parlamentare di minoranza dirà chiaramente quello che rimprovera al presidente del consiglio? Inoltre visto che la destra e la sinistra hanno una posizione comune su alcune riforme, tutti si ritrovano più o meno d’accordo!

Insomma, invece delle litigate di un tempo che alimentavano le prime pagine dei giornali del giorno dopo in un’infernale spirale mediatica, ormai abbiamo diritto a noiose conversazioni da salotto. Tanto vale spegnere la televisione. “L’anno prossimo”, promette Santoro su Facebook, “cominceremo insieme un nuovo viaggio”. E perché non da subito?

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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