28 luglio 2014 10:33

Sulla strada che porta al campo profughi di Khazer, a una cinquantina di chilometri da Erbil, siamo passati vicino a una torretta militare. I soldati curdi peshmerga la usano per sorvegliare un checkpoint dei ribelli dello Stato islamico, che sono fermi ad appena duecento metri di distanza dalla strada che porta al campo.

Khazer è nato su un terreno desolato tra due colline, senza nessun albero né un riparo. È formato da cinquecento tende che ospitano 750 famiglie. In gran parte si tratta di persone scappate da Mosul dopo che lo Stato islamico ha preso il controllo della loro città. Molti bambini che ho visto correre nelle sue stradine polverose erano praticamente nudi.

“Sono due settimane che non mi faccio il bagno”, mi ha detto Ahmed, che ha undici anni.

“Non c’è abbastanza acqua da bere e fa caldissimo”, ha aggiunto suo padre, 46 anni, che a Mosul faceva il negoziante.

Fuori dal campo c’era una lunga fila di macchine in attesa che l’amministrazione del campo fornisse le tende per altre settanta famiglie.

“Sono dieci giorni che aspettiamo”, mi ha detto un uomo anziano seduto all’ombra della sua auto. “Se non hai la tenda non ti danno da mangiare. E, come può ben vedere, in auto con me ci sono anche mia moglie e i miei tre figli”.

La situazione è tragica, ha spiegato uno degli amministratori del campo. “Abbiamo avuto pochissimo tempo per allestire tutto. Inoltre avevamo pochissima esperienza in questo genere di situazioni. Sono arrivati profughi dalla Siria, da Tikrit, da Baghdad e ora anche molti cristiani… È troppo per le nostre possibilità. Qui a Khazer abbiamo solo un centro medico”.

Mentre eravamo in macchina pronti a tornare a Erbil, una ragazzina di dodici anni si è aggrappata al finestrino dell’auto e ha chiesto di parlare con un giornalista.

Mi ha chiesto: “Per quanto tempo dovremo stare lontani da casa? Lei lo sa?”.

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