04 aprile 2014 16:42

Il 6 aprile del 1994 viene abbattuto da un missile l’aereo del presidente ruandese hutu Juvénal Habyarimana, di ritorno da un colloquio di pace insieme al capo di stato del Burundi, Cyprien Ntaryamira.

I leader politici e il movimento radicale Potere hutu accusano dell’attentato i ribelli tutsi del Fronte patriottico ruandese (Fpr), guidati da Paul Kagame.

I movimenti hutu incitano quindi al massacro della minoranza tutsi e degli hutu moderati: in circa 100 giorni, secondo le stime di Human Rights Watch, sono uccise a colpi di machete, bastoni e armi da fuoco almeno 500mila persone, ma secondo altre fonti i morti potrebbero essere un milione. 

Le milizie tutsi, intanto, avanzano verso la capitale Kigali: il governo è costretto a fuggire e il personale diplomatico e delle agenzie internazionali lascia il paese mentre sono ancora in corso i massacri. Il 22 giugno la Francia, sotto mandato delle Nazioni Unite, avvia l’Opération Turquoise, una missione umanitaria accusata da molti di aver in effetti protetto gli autori dei massacri. Il 15 luglio l’Fpr proclama la vittoria e la fine delle violenze.

Temendo vendette, più di un milione di hutu fugge verso lo Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo), Burundi, Tanzania e Uganda: tra i profughi si mischiano anche molti responsabili del genocidio e uomini dei due gruppi paramilitari Interahamwe e Impuzamugambi. Migliaia di persone muoiono di colera, dissenteria o calpestati nella calca.

Sull’attentato che ha dato il via al genocidio non è stata ancora fatta chiarezza, anche se alcune ipotesi indicano le frange estremiste del partito presidenziale che non accettavano l’accordo di Arusha (1993) che concedeva un ruolo politico e militare importante al Fronte patriottico ruandese.

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