25 aprile 2016 11:44

L’ultima invenzione di Nino Cannavale è il pesto al fior di friariello. Giallo come le infiorescenze delle cime di rapa che punteggiano la Terra di Lavoro in questa stagione, va bene con la pasta e pure sulla pizza o ad amalgamarsi con le uova in una singolare frittata. Lo chef della Nuova cucina organizzata lo consiglia accompagnato a un vino Vite matte, prodotto con uve biologiche provenienti da alcuni terreni confiscati alla camorra a Santa Maria La Fossa e distribuite in una cantina di un antico edificio a Casal di Principe, che ospita ragazzi svantaggiati con problemi psichiatrici. Il suo piatto forte è però la Dolcebufala, “il primo dolce al mondo a base di mozzarella di bufala”, rivisitazione campano-casearia della più celebre cassata siciliana e “simbolo di rinascita di questo territorio”.

“Mi è costata un anno di lavoro”, racconta Cannavale mostrandola con orgoglio. Per metterla a punto ha traslocato in un caseificio abbandonando ogni altra attività, ha studiato ogni dettaglio della lavorazione del celebre formaggio fresco e ne è uscito con la ricetta di un latticino ripieno di canditi e ricotta che ora propone agli ospiti del ristorante che fa il verso alla Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, aperto a Casal di Principe nella villa che fu del numero due del clan dei Casalesi, Mario Caterino.

“È stato un anno molto duro, ma è servito a dimostrare ai miei figli e ai giovani che vogliono andare via da queste terre che è possibile fare qualcosa di buono anche qui”, dice lo chef Cannavale. “Ho voluto dirgli: se ci sono riuscito io che non sono più un ragazzino, potete riuscirci anche voi”. È anche grazie a lui che questo paese di poco più di ventimila abitanti, roccaforte della malavita organizzata come la siciliana Corleone negli anni ottanta, prova oggi a riemergere da un trentennio buio.

Nei nascondigli abbonda l’iconografia religiosa: bibbie, santini, copie dei Vangeli

Dei cognomi della malavita casalese che fino a qualche tempo fa incutevano soggezione e timore, dai Bidognetti ai Iovine, dagli Schiavone ai Zagaria, rimangono le faraoniche abitazioni, abbandonate o confiscate dallo stato. Mario Caterino, ricercato dal 2005 e inserito nella lista dei trenta latitanti più pericolosi d’Italia stilata dalla direzione centrale della polizia criminale e soprannominato ’A botta per la sua abilità nel maneggiare gli esplosivi, è stato arrestato il 2 maggio del 2011 a un passo da casa sua, in questo paese, proprio mentre ad Abbottabad, in Pakistan, un commando di Navy seals americani uccideva il leader di Al Qaeda, Osama bin Laden. Pure Caterino è finito nel mirino degli statunitensi: un anno dopo il dipartimento di stato l’ha inserito in una lista di cinque capiclan della camorra da sanzionare con il “congelamento delle proprietà” e vietando a ogni cittadino statunitense di “effettuare transazioni con loro”.

Lo staff della Nuova cucina organizzata, gestito dalla cooperativa sociale Agropoli, in una villa confiscata alla camorra a Casal di Principe, il 9 marzo 2016. Il ristorante sociale opera con persone con disabilità e ragazzi provenienti da percorsi di pene alternative. (Mauro Pagnano, Etiket Comunicazione)

Per gli inquirenti italiani non è stato semplice scovarlo: l’ex autista del capoclan Francesco Schiavone (detto Sandokan per via della somiglianza con l’attore indiano Kabir Bedi, che nel 1976 aveva interpretato il personaggio salgariano in un celebre sceneggiato televisivo) non usava cellulari o computer che potessero farlo rintracciare. Si tratta di una strategia che ha consentito a molti fuggitivi di non allontanarsi dal casertano: il magistrato della Dda di Napoli, Catello Maresca e il giornalista Francesco Neri, in L’ultimo bunker (Garzanti), raccontano che la caccia al superlatitante Michele Zagaria non è stata troppo dissimile da quella per raggiungere Bin Laden nel covo di Abbottabbad, con tanto di abbattimento di un drone durante i fuochi di una festa patronale. In compenso, nei nascondigli abbonda l’iconografia religiosa: bibbie, santini, copie dei Vangeli. Caterino si circondava di immagini di padre Pio.

Dalla Nuova cucina organizzata (Nco) si è arrivati con lo stesso acronimo a Nuova cooperazione organizzata

L’ex villa di Casal di Principe convertita in ristorante non è fastosa e pacchiana come quella di Walter Schiavone (fratello del capoclan Francesco “Sandokan”) che se l’era fatta costruire uguale a quella di Tony Montana, il gangster cubano interpretato da Al Pacino in Scarface.

È sobria come il meno appariscente proprietario, però conserva alcuni tipici tratti del “casalese style” dei novelli sceicchi della camorra, a cominciare dall’ampio salone d’ingresso e dal bianco dei pavimenti, oltre all’immancabile muro di cinta che serviva a proteggere e nascondere allo stesso tempo.

“La nostra prima iniziativa è stata quella di sfondarli”, per restituire il bene confiscato alla comunità a cui era stato sottratto, dice Umberto De Santis, che si occupa della comunicazione della Nuova cucina organizzata (Nco) e sta mettendo in piedi una web radio. Mi spiega che la Nuova cucina organizzata si è allargata ed è nata una rete di cooperative che ha mantenuto l’acronimo Nco, trasformato in Nuova cooperazione organizzata. La sede è al primo piano della villa: qui ci sono la sala riunioni, gli uffici amministrativi e pure una biblioteca donata da due anarchici bulgari. Il consorzio si occupa di gestire le coltivazioni nei terreni confiscati, la trasformazione dei prodotti e la loro commercializzazione. “Abbiamo capito che, per sopravvivere, dovevamo mettere in piedi una nostra filiera”, spiega il responsabile amministrativo, Tonino De Rosa.

Le attività agricole in un terreno confiscato alla camorra e dove lavorano gli utenti della cooperativa sociale Eureka, aderente al consorzio Nco, a Casal di Principe, il 15 novembre 2012. (Mauro Pagnano, Etiket Comunicazione)

Gli attentati

Partiti nel 2001 con l’idea di usare i “budget di sanità” della regione Campania per dare alloggio, formazione e lavoro a malati psichiatrici, eredità del vecchio Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Aversa, i pionieri della Nco hanno in seguito pensato di farsi assegnare proprietà sottratte alla malavita e riconvertirle a un’“economia sana”. Oggi la Nco partecipa al Forum dell’agricoltura sociale, che raggruppa trecento aziende e cooperative del casertano, e alla Rete di economia sociale, un progetto che ha l’obiettivo di creare filiere economiche alternative su beni confiscati alle mafie e che vanta numeri di tutto rispetto, con 32 partner e 14 attività lavorative in sette comuni del casertano ad alta densità camorristica.

È qui dentro che a Natale preparano il ‘pacco alla camorra’

Non è stato tutto rose e fiori. La notte di Capodanno di tre anni fa sconosciuti spararono quattro colpi di pistola contro il muro di cinta e il portone del ristorante anticamorra, che allora era a San Cipriano d’Aversa e neppure in un bene confiscato. Un anno fa, a lavori di ristrutturazione ancora in corso, sono spariti una caldaia e il motore del cancello elettrico. L’estate scorsa sono andati in fiamme dieci ettari di pescheto confiscati ai clan a Teano e assegnati alla Nco, proprio alla vigilia dell’arrivo di decine di giovani antimafia da tutta Italia per un campo estivo organizzato dall’associazione Libera. Intimidazioni e minacce sono all’ordine del giorno.

Al punto vendita Fuori di zucca di Aversa, in una dépendance ristrutturata della Real casa de’ matti fondata da Gioacchino Murat nel 1813 e dismessa nel 1999, hanno addirittura sfondato un muro di cinta per rubare un trattore e gli arnesi di lavoro.

È qui dentro che a Natale preparano il “pacco alla camorra”. Il contenuto è un riassunto delle attività della Nco: una confezione di biscotti Dolce Nisida, prodotti dai detenuti del carcere minorile sull’isola partenopea, e poi marmellate, pacchi di pasta, vino, sottoli, nocciole e cioccolato, tutto rigorosamente biologico. “Questo edificio cadeva a pezzi, ci prendevano per matti quando dicevamo quello che volevamo farci”, spiega Pasquale Gaudino, socio fondatore della cooperativa che gestisce l’area recuperata. Non era follia, ma lucida visione: oggi in questo pezzo di sezione femminile dell’ex manicomio borbonico ci sono, oltre alla bottega, un agriturismo, una fattoria didattica nella quale si insegna l’agricoltura ai ragazzi delle scuole della zona, si coltivano frutta e verdura e si organizzano campi estivi per giovani attivisti provenienti da tutta Italia.

Sulle orme di don Peppe Diana

Il giorno di Natale del 1991 il parroco anticamorra Peppe Diana diffuse nella sua chiesa a Casal di Principe una lettera intitolata “Per amore del mio popolo non tacerò”. Vi si leggeva:

La camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce schiere di giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.

Tre anni dopo, il 19 marzo del 1994, un killer lo freddò con cinque colpi, due alla testa, uno al volto, uno alla mano e l’ultimo al collo, nella sacrestia della stessa chiesa, intitolata a san Nicola di Bari, mentre una decina di fedeli lo attendevano per la funzione religiosa. L’assassino, Giuseppe Quadrano, catturato un anno dopo in un caffè di Valencia, aveva voluto vendicarsi di un gesto di disobbedienza vissuto come un affronto: il diniego del prelato a celebrare i funerali di un suo parente, Gilberto Cecora, ucciso nella sanguinosa faida di camorra che contrapponeva il clan De Falco ai Bidognetti-Schiavone. “Don Peppino non voleva fare il prete che accompagna le bare dei ragazzi soldato massacrati dicendo ‘fatevi coraggio’ alle madri in nero”, ha scritto Roberto Saviano nel quindicesimo anniversario della morte.

Sessa Aurunca, il 3 ottobre 2012. Erasmo è un socio della cooperativa sociale Al di là dei sogni. (Mauro Pagnano, Etiket Comunicazione)

Ventidue anni dopo, per l’omicidio del malavitoso che causò indirettamente l’uccisione del prete che chiuse la parrocchia ai clan sono stati condannati in cinque: quattro killer dei Casalesi e da ultimo, un mese e mezzo fa, Walter Schiavone, il boss della villa alla Scarface. Sulle terre di don Peppe Diana si organizzano invece escursioni di militanza civile e questo fa sì che la sua morte non sia avvenuta invano.

Da quel giorno, tutto ciò che si muove sul fronte anticamorra, da queste parti, avviene nel nome e nel ricordo del prete assassinato. A Casal di Principe di recente gli hanno intitolato una scuola e la villa confiscata a un altro esponente dei Casalesi, Egidio Coppola. In quest’ultima è stata allestita una mostra, dal titolo La luce vince l’ombra, che ha fatto registrare 36mila visitatori, un numero record da queste parti: venti quadri provenienti dal museo degli Uffizi di Firenze, da Capodimonte a Napoli e dalla Reggia di Caserta, tra i quali il trittico di Andy Warhol che riproduce la prima pagina del quotidiano Il Mattino di Napoli tre giorni dopo il terremoto del 23 novembre 1980, con il titolo “Fate presto”.

I cento passi a Sessa Aurunca

Nelle campagne di Sessa Aurunca una mangiatoia per cavalli sequestrata al clan Moccia è diventata “il cammino dei cento passi”, tanti quanti separavano la casa dell’attivista antimafia Peppino Impastato da quella del mandante del suo assassinio, il 9 maggio del 1977 a Cinisi, nel palermitano: il capo di cosa nostra don Tano Badalamenti. Si tratta di una passeggiata tra lapidi che ricordano vittime innocenti della criminalità organizzata. Ci sono Impastato e don Diana, e pure il sindacalista degli ambulanti Federico Del Prete, ucciso nel 2002 a Casal di Principe per aver denunciato il racket dei sacchetti di plastica nei mercati, al quale è stato intitolato un mercato su un terreno confiscato a Francesco “Sandokan” Schiavone.

Il percorso si apre con la storia di Alberto Varone, un distributore di giornali e titolare di un mobilificio sul corso di Sessa Aurunca, freddato all’alba del 24 luglio del 1991, mentre faceva il giro delle edicole con il suo furgoncino per consegnare i quotidiani, da sicari del clan Esposito, detto dei “Muzzoni”, per non essersi piegato ai ricatti e non aver voluto cedergli l’attività commerciale. Prima di morire, l’uomo riuscì a sussurrare i nomi dei killer, che furono presi. La famiglia è ora sotto protezione in un luogo segreto, lontana dalla cittadina casertana, dopo le minacce rivolte al figlio che aveva voluto proseguire l’attività paterna. Per questo i soci della cooperativa Al di là dei sogni, che gestisce l’ex masseria e i terreni circostanti, hanno voluto dedicargli il bene confiscato.

Come in tutte le ex proprietà dei clan recuperate, anche qui hanno dovuto abituarsi agli attentati. L’ultimo risale al 16 gennaio scorso quando, alla vigilia dell’arrivo di un gruppo di ragazzi per un periodo di pratica nell’azienda agricola, i soliti ignoti hanno distrutto l’impianto idraulico, sfondato porte e finestre, tranciato cavi dell’elettricità e buttato giù addirittura due pareti. Loro non si sono spaventati e, armati di sacco a pelo, hanno presidiato il bene giorno e notte per quattro mesi: “La nostra non è stata solo una sfida ai clan. Non volevamo deludere i giovani ai quali avevamo promesso un lavoro”, dice Simmaco Perillo, socio fondatore della cooperativa.

Gli attacchi erano cominciati già alla consegna delle chiavi da parte del comune, alla fine di dicembre del 2008. La masseria era stata ristrutturata con fondi europei (un milione e ventimila euro), ma all’ingresso gli assegnatari si erano accorti che i bagni non avevano le finestre e che le porte sbattevano contro i water, “perfino gli infissi erano senza le tapparelle”. Hanno denunciato tutto e, in risposta, “sedici giorni dopo ci sono stati atti vandalici nei terreni”, racconta Perillo, con gli occhi che brillano perché ha appena saputo che la ditta che aveva svolto i lavori è finita in un’inchiesta su tangenti pagate per ottenere appalti pubblici.

Nel bene confiscato risiedono e lavorano 21 persone provenienti dall’ex Opg: ci sono due pluriomicidi, un giovane vittima di abusi sessuali, quattro ex tossicodipendenti, un ex alcolista. I lavoratori “convivono, si dividono gli impegni e sono inseriti dal punto di vista lavorativo”, con l’aiuto di assistenti sociali, educatori e mediatori familiari, psicologi e psichiatri inviati dall’Asl. Qui si coltivano i terreni ma soprattutto si trasformano i prodotti: dai laboratori escono a ciclo continuo sottoli, sottaceti, passate e marmellate.

Sessa Aurunca, l’8 ottobre 2012. Michele è un socio della cooperativa sociale Al di là dei sogni. Lo slogan sulla sua maglietta, “panza chiena camorra vacante”, riprende un vecchio modo di dire napoletano e vuol dire che con la pancia piena dei prodotti coltivati sui terreni confiscati si sconfigge la camorra. (Mauro Pagnano, Etiket Comunicazione)

La chimica buona

Al Festival dell’impegno civile – Le terre di don Peppe Diana, alla fine di luglio del 2015, nel bene confiscato gestito dalla coop Al di là dei sogni, c’erano anche i 35 operai della Cleprin, un’azienda chimica etica di Sessa Aurunca. In quei giorni stavano sperimentando con l’università di Salerno una proteina in grado di pulire i terreni inquinati dai metalli pesanti sversati per anni dalla camorra.

I clan non hanno la stessa forza di un tempo e, tenendo duro, è possibile voltare pagina

Quella stessa notte, piromani senza nome hanno incendiato l’impianto di produzione della rivoluzionaria sostanza che dovrebbe aiutare a bonificare la Terra dei fuochi. “Ci hanno attaccato perché non abbiamo paura di denunciare, anche sui media, le minacce e intimidazioni che riceviamo, perché incontriamo le scuole e perché svolgiamo attività sociali”, spiega uno dei soci, Antonio Picascia mentre mi porta a vedere quel che rimane dell’azienda.

Da quando hanno fatto arrestare alcuni estorsori del clan Esposito, i “muzzoni” già protagonisti dell’uccisione di Alberto Varone, alla Cleprin si sentono come dei partigiani del lavoro pulito. Due dipendenti della società che raccoglieva i rifiuti per il comune di Sessa Aurunca sono stati scoperti mentre sversavano centinaia di litri di percolato maleodorante davanti ai cancelli dello stabilimento. Non si contano le minacce, le lettere e le telefonate anonime, i pedinamenti in auto.

All’indomani dell’incendio, centinaia di persone si sono radunate davanti alla fabbrica bruciata, a testimoniare che i lavoratori colpiti non erano soli. La produzione, nonostante l’impianto fosse semidistrutto, non si è fermata neppure un giorno. Sono stati gli stessi operai insieme alle loro famiglie a ripulirlo e salvarne il salvabile. Oggi lo stabilimento lavora a pieno regime nonostante i danni non siano ancora stati riparati: il loro prodotto più noto è un detersivo per lavastoviglie completamente biodegradabile.

Pur non essendo un’azienda che opera su un bene confiscato, nel “pacco alla camorra” della Nco ci sono pure i loro saponi e detersivi biologici. Pure la sperimentazione della molecola che potrebbe risolvere il problema dell’inquinamento nella Terra dei fuochi è ripresa. Alla Cleprin, come nel ristorante Nco di Casal di Principe o alla coop Al di là dei sogni, sanno bene che i clan non hanno la stessa forza di un tempo e che, tenendo duro, è possibile voltare pagina. Hanno fatto tesoro delle parole di don Luigi Ciotti, accorso ai cancelli della fabbrica dopo l’incendio: “Possono bruciare quello che vogliono, ma non vinceranno mai”.

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