03 giugno 2016 16:22

Nel punto più a sud della costa napoletana esiste una piccola città in cui si costruiscono navi da sempre. Castellammare di Stabia, 65mila abitanti di cui quindicimila emigrati, un tempo terza città industriale della regione, tra i centri di maggiore investimento dell’Istituto per la ricostruzione industriale (liquidato nel 1992). A cavallo tra gli anni ottanta e novanta ci sono stati il terremoto, le guerre di camorra e la smobilitazione sistematica dell’apparato produttivo.

Lo scenario odierno è quello che osservo ogni volta che vengo da queste parti, attraversando in Vespa la costa orientale che da San Giovanni – ancora dentro Napoli – arriva a Portici, e poi Torre del Greco, Pompei e Torre Annunziata: le fabbriche a partecipazione statale hanno chiuso da tempo, una dopo l’altra; in vita è rimasto solo il cantiere navale di Castellammare, il più antico e obsoleto d’Europa, dopo anni di lotte e ricatti, ristrutturazioni e ridimensionamenti. “Se non togli il ferro non togli il rosso”: pare che De Gasperi sussurrò queste parole all’orecchio di Silvio Gava, il giorno in cui venne a inaugurare la funivia del monte Faito, la montagna che sovrasta la città, come a volerle coprire le spalle.

Si riferiva al cantiere di cui discutevano sempre quei due, quello che nell’inverno del 1931 aveva fatto scendere a mare il veliero Amerigo Vespucci, vanto della marineria italiana. Lo stesso cantiere che è ancora là dove lo fecero i Borboni, dopo due secoli e mezzo di storia gloriosa e di attuale agonia. Castellammare è la città con il tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti in Italia.

Bollettini elettorali

Quando percorro la costa che da Pozzuoli arriva fin qui riesco a percepire con la vista ciò che i rapporti sull’economia del Mezzogiorno deducono dalle statistiche. Lungo il tragitto mi viene sempre da pensare al deserto. Poi mi fermo, e dopo aver parcheggiato mi accomodo su una panchina nei pressi del centro, a sfogliare il quotidiano locale in attesa di raggiungere Alfonso il saldatore al bar gialloblu.

Non ho bisogno di chiamarlo. So che ogni mattina staziona là fuori insieme ai pensionati come lui. Ma è ancora presto. Alzo la testa dal giornale e mi guardo intorno. C’è il mare almeno, ad arginare l’idea del deserto. Il calore già spinge gli abitanti della piccola città verso la spiaggia libera. Nei pressi della villa comunale, transennata per lavori, regna la desolazione. Il cantiere è fermo da mesi, per “inadempienze gravi” della ditta vincitrice dell’appalto. I quotidiani e i siti d’informazione ne hanno parlato, ma in questi giorni concentrano tutta l’attenzione sulle elezioni amministrative, trasformandosi in bollettini della campagna elettorale in corso.

Mentre sfoglio le pagine, mi viene in mente quel sindaco, ex magistrato, che impedì la sosta davanti al santuario della Madonna dei marinai durante la processione del patrono, san Catello, perché convinto che in tal modo si rendesse ossequio a un vecchio boss residente di fronte al santuario. Al suo posto è stato eletto un sindaco nipote di Antonio Gava (figlio di Silvio), poi le cose sono andate come dovevano andare. L’amministrazione comunale, sciolta nel settembre scorso, è in mano a un commissario prefettizio.

La crisi del cantiere navale. Da quanto dura? Ho perso il conto

La retorica della campagna elettorale si aggiorna a ogni tornata, assimilando il nuovo lessico al passo coi tempi. Si parla di app per il decoro urbano, di aree a traffico limitato dotate di totem per ricaricare auto e biciclette elettriche. Castellammare, da “città-fabbrica” qual era, dovrà diventare la prima smart city del sud Italia. L’immagine di un uomo dietro una scrivania con gli occhi assonnati è accompagnata dal titolo: “Grinta, competenza e passione al servizio della città”.

L’articolo tira in ballo la carica emotiva e passionale del candidato, poi continua a snocciolare i “temi caldi”, vale a dire “il rilancio delle attività produttive”. Infine, la crisi del cantiere navale. Da quanto dura? Ho perso il conto.

Frequento la piccola città dal maggio del 2011, da quando le maestranze occuparono il municipio in seguito alla minaccia di chiusura da parte di Fincantieri, e da allora la situazione non è cambiata, se non nei termini di un inesorabile declino, scandito da periodi di cassa integrazione, promesse, blocchi stradali, trasferimenti, costruzione di tronconi per le navi da crociera in gestazione nei cantieri di Marghera o Monfalcone, e altre commesse che a stento riescono ad assorbire tutta la capacità produttiva, utili a posticipare l’incertezza sul futuro di qualche mese, al massimo un anno.

Da qui si vede l’intreccio tra le vicende politiche nazionali e i processi globali che ne determinano il declino

E così si rischia di dimenticare che il cantiere navale di Castellammare appartiene a Fincantieri, il quarto gruppo al mondo in termini di fatturato dopo quello dei cantieri dei concorrenti sudcoreani Hyundai, Samsung e Daewoo. Fincantieri è il maggiore costruttore navale occidentale, presente in tredici paesi, in quattro continenti, con ventuno cantieri navali tra Italia, Norvegia, Romania, Stati Uniti, Brasile, Vietnam ed Emirati Arabi Uniti. In Italia possiede otto cantieri navali.

Sebbene alcuni errori in fase di progettazione l’abbiano tagliato fuori da segmenti di mercato come quello dei traghetti, il gruppo opera in tre settori principali: grandi navi, difesa e servizi petroliferi, vale a dire crociere, navi militari e unità offshore, queste ultime attraverso la controllata norvegese Vard, quotata alla borsa di Singapore. Il gruppo conta 21mila dipendenti diretti, di cui circa ottomila in Italia. Di questi, 600 lavoratori provengono dal cantiere navale di Castellammare, l’ultimo opificio rimasto in questo lembo di costa a sud di Napoli. A ben vedere, questo cantiere rappresenta un prisma. Da qui si vede l’intreccio tra le vicende politiche nazionali e i processi globali che ne determinano il declino.

Giunto da queste parti per sostenere il candidato del Partito democratico insieme al sottosegretario alla presidenza del consiglio Luca Lotti, il governatore della Campania Vincenzo De Luca ha millantato grandi investimenti, evidenziando “l’impegno straordinario messo in atto dal governo e dalla regione per la cantieristica”. Impegno non ancora rispettato. Si è parlato di 400 milioni di euro di investimenti dopo il patto per la Campania firmato dal governo, 50 dei quali riguarderebbero la costruzione di una nave oceanografica destinata alla marina militare, progetto annunciato a partire dallo scorso gennaio.

Il “businness delle navi”

Per un periodo si è parlato del piano militare per le fregate italofrancesi Fremm (fregate europee multimissione), da spartire insieme al cantiere ligure di Riva Trigoso; poi della rottamazione di unità di cabotaggio e di qualche troncone per le crociere, di cui Fincantieri è leader globale, con ordini che vedono impegnati i cantieri del nord per anni, talmente saturi da esternalizzare il lavoro a ditte esterne che impiegano manovalanza sottopagata composta in prevalenza da immigrati. Nessuna di queste trattative, però, è ancora andata a buon fine.

Fincantieri ha promesso che dal prossimo gennaio partirà la costruzione di un’unità anfibia per il concorso della difesa ad “attività di soccorso umanitario”. Venti mesi, un miliardo e 200mila ore di lavoro. Ci sono anche sei pattugliatori polivalenti, dal costo medio di 437 milioni. È il risultato della legge navale, un provvedimento del governo emanato tra le polemiche a causa delle pressioni esercitate sulla commissione difesa, finalizzate all’approvazione dello stanziamento di cinque miliardi e mezzo per le nuove navi da guerra della marina. Una legge dall’iter poco chiaro, al vaglio della magistratura. Una legge che “testimonia l’impegno del governo nei confronti del cantiere navale di Castellammare”, come ha affermato il sottosegretario Lotti mentre lo visitava.

Intanto, la procura di Potenza indaga sul “business delle navi”, che vede coinvolti marina, difesa e affaristi, da cui emergono tra l’altro le intercettazioni sulle pressioni del governatore De Luca all’amministratore delegato della Fincantieri Giuseppe Bono. Il problema resta la mancanza di un bacino di costruzione che assicurerebbe una distribuzione più equa dei carichi di lavoro tra i cantieri italiani, un investimento di 150 milioni che diventa strumentale nel corso di ogni campagna elettorale.

Non dovrebbero stupire, perciò, gli esiti dell’indagine della procura di Torre Annunziata sulle pressioni esercitate su alcuni titolari delle ditte esterne del cantiere. Sei ordinanze di custodia cautelare in carcere sono scattate nell’estate scorsa a carico di dipendenti e sindacalisti ritenuti responsabili del reato di estorsione. La prima condanna a quattro anni e mezzo di reclusione è arrivata nei confronti di un operaio, mentre sono stati rinviati a giudizio gli altri cinque imputati. Il tutto, in cambio di un posto di lavoro.

I lavoratori del cantiere vivono l’ennesimo periodo senza prospettive, stanchi perfino di scioperare

Alfonso il saldatore m’impedisce di pagare. Gli chiedo cosa pensa dell’idea di una smart city, mentre usciamo dal bar, lungo una strada paralizzata, tra le sirene dell’ambulanza e i clacson insistenti di autisti che inveiscono contro un tizio che ha lasciato l’auto in doppia fila.

Lui mi guarda sornione e dice che poi me lo farà sapere. Racconta che dentro al cantiere adesso la gente riga dritto perché è cambiato il capo del personale. Ci mettiamo a guardare una partita di tressette tra pensionati intorno a un tavolino disposto sul marciapiedi. Alfonso si arrotola una sigaretta, fa una pausa.

Dentro al cantiere lo conoscevano tutti per la bravura e le battaglie sull’amianto, ma da quando è in pensione passa le giornate fuori, al bar, non si fa vedere ai cancelli da anni, anche se le giovani maestranze quando passano davanti al bar lo salutano con rispetto. “Siamo la scartina di un mazzo di carte quando usciamo dal cantiere”.

Racconta che Carmine ha lasciato il sindacato perché non ce la fa più, che Catello si è sottoposto a controlli a causa di una tosse che l’ha fatto preoccupare. Poi prende un’altra pausa, infine racconta che Franco il sindacalista è morto nel giro di due mesi. Erano compagni di reparto, avevano trascorso una vita insieme. S’è lasciato morire, Franco, non ha voluto combattere il mesotelioma; proprio lui, che era riuscito a portare le maestranze a manifestare davanti alla sede centrale di Fincantieri, a Trieste, nel gennaio del 1993, con un treno speciale partito di notte dalla stazione di Castellammare. Le commesse non c’erano: andarono a prendersele. Tre traghetti. Cominciarono a costruirli senza rotazione, i cassintegrati tornarono a lavorare, poi le cose si misero male un’altra volta. Peggio di prima.

Restiamo in silenzio a guardare i giocatori di carte. Nella lenta agonia che non lascia spazio alle illusioni, i lavoratori del cantiere vivono l’ennesimo periodo senza prospettive, stanchi perfino di scioperare, costretti ad ascoltare le dichiarazioni dei politici di turno, che in tempo di elezioni si esercitano sul loro futuro.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it