06 giugno 2016 12:32

Sono capitata a Miami per la prima volta all’inizio degli anni ottanta, quando ancora buona parte degli alberghi déco cadeva a pezzi e Miami Beach era un luogo schizofrenico: lungo Ocean Drive un andirivieni di gente bizzarra e bei ragazzi abbronzati, nella strada subito dietro una tremolante folla di vecchi decrepiti vestiti di tessuti sintetici color confetto.

La cosa mi aveva talmente impressionata da convincermi a scriverci un (dimenticabile) racconto.

Ma se volete avere una vaga idea dei tipi umani che si potevano incontrare, guardatevi le foto di Brenda Ann Kenneally pubblicate da Time.

Oggi la città si è espansa, ripulita e gentrificata: tutto scintilla. Per strada si vede un’esorbitante quantità di Ferrari. Anche i non molti anziani che si mostrano in giro hanno subìto radicali restauri. L’architettura déco resta incantevole. Però prendetevi una mappa (la trovate per un paio di dollari all’Art deco welcome center) e divertitevi a distinguere tra Tropical déco, Mediterranean revival e Miami modern.

A cercar bene, però, qualcos’altro di curioso si trova ancora.

Per esempio: non potete non fare un salto a villa Vizcaya: una finta villa italiana costruita da un riccone fragile e solitario ai primi del novecento, nel bel mezzo della foresta subtropicale, importando dall’Europa marmi, colonne, mobili e cristallerie, arazzi e interi soffitti. È un progetto strano e visionario: dentro ci sono sogno, desiderio, onnipotenza, candore, fascinazione, nostalgia. E ovviamente una buona dose di kitsch. I giardini sono bellissimi.

Usciti da lì, fate un piccolo pellegrinaggio a piedi (bastano 40 minuti) fino a Little Havana percorrendo la Tredicesima avenue, il Cuban memorial boulevard. Man mano che vi avvicinate, tra scritte celebrative e modesti monumenti ricchi di pathos, potete percepire tutto il senso di frustrazione, orgoglio, dolore e rivalsa della comunità cubana americana.

Annamaria Testa

Little Havana non è granché, ma ci sono tre cose da fare: la prima è fermarsi a guardare gli anziani che giocano a scacchi e a domino al Máximo Gómez park, contro lo sfondo del murales che celebra i protagonisti del Cumbre de las Américas del 1994. La seconda cosa da fare è cacciare il naso nei negozi di sigari, e magari attaccar bottone coi commessi.

Annamaria Testa

La terza cosa da fare è fermarsi a mangiare da Versailles, uno storico ristorantone di cucina cubana. Per guadagnarsi il sostegno della comunità degli esiliati, lì hanno cenato anche Bill Clinton, Mitt Romney e John McCain. I turisti si presentano, ahimè, in ciabatte anche a cena, ma i molti avventori di origine cubana si mettono deliziosamente in ghingheri.

Scendendo da Miami verso sud, un’altra cosa che vale la pena di fare è fermarsi al parco delle Everglades, patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Ci sono diversi ottimi percorsi e vi basta un pomeriggio per farvi un’idea di come acqua dolce e salata, terre emerse e rigogliosissima vegetazione si possano mescolare dando luogo a un ecosistema straordinario.

Annamaria Testa

Se vi va, potete anche giocare a “scova l’alligatore”. Un gioco che, tra Florida e Louisiana, potreste praticare piuttosto spesso: tanto vale cominciare da subito.

Annamaria Testa

Il National Geographic ha inserito l’Overseas highway tra i Drives of a lifetime, i viaggi in auto di una vita. Si tratta di 181 chilometri di strada lungo tutta la collana delle Florida Keys, l’arcipelago di isole coralline che parte dall’estremità meridionale della Florida.

Sono quattro ore di guida mozzafiato, e danno la sensazione di essere sospesi letteralmente tra acqua e cielo superando i quasi 11 chilometri del Seven miles bridge, tra Knight’s Key e Little Duck Key. Fermatevi ogni tanto, però: diverse isole ospitano parchi naturali.

Annamaria Testa

L’isola e la cittadina di Key West sono il punto più a sud degli Stati Uniti, a poco più di cento chilometri da Cuba: strade linde, basse case di legno, ricette di pesce nei ristoranti, una notevole colonia di gatti nella casa di Hemingway (si tratta dei discendenti dei gatti posseduti dallo scrittore, e oggi sono loro i veri padroni di casa), galline, pulcini e galli a zonzo per le strade (sono una peculiarità locale, peraltro oggetto di costanti controversie), una discreta vita notturna.

Annamaria Testa

Se volete entrare nello spirito, potreste cominciare andando a vedere i turisti che guardano il tramonto affollandosi sul molo che parte da Mallory square. Musica, cibo, cocktail e folla che agita telefonini o grossi apparecchi fotografici: un rito cominciato negli anni sessanta. Già che ci siete, date un’occhiata anche al tramonto, però.

Annamaria Testa

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