20 giugno 2016 15:19

Le Wetlands della Louisiana sono un gigantesco intrico di canali, paludi e foreste di palme e cipressi che si estende attorno e ben oltre il grande estuario del Mississippi. Bayou, il nome creolo delle Wetlands, vuol dire “tortuoso”.

Le attraversiamo guidando verso sud su strade semideserte, da New Orleans a Grand Isle, tra alte, fitte cortine di vegetazione. A volte la palude arriva fino al bordo dell’asfalto. Solo alla fine il paesaggio si apre in un ghirigoro di terre e acqua, sul quale passiamo al volo percorrendo una strada sopraelevata e interminabile.

Le Wetlands della Louisiana. (Annamaria Testa)

Tornati a Thibodaux decidiamo di dare un’occhiata più da vicino a quel che c’è dietro la cortina di verde.

Il bayou è il posto dei pescigatto, dei granchi e dei gamberi, degli elegantissimi aironi (qui li chiamano aigrette, alla francese), dei serpenti e degli alligatori. Conviene trovare una guida, ma è domenica mattina e non sembra così facile. Finalmente telefoniamo a Zam’s, “Where everybody is somebody”. E ci catapultiamo in un’altra dimensione.

La bassa costruzione sul canale è sgangherata. Fuori ci sono strati geologici di qualsiasi cosa si possa ammucchiare. Il padrone di casa è Lloyd, un biondo nerboruto sui quaranta, capelli lunghi fino a metà schiena, maglietta nera con la Madonna.

A portarci attorno è Ralph, un vecchio alto e dritto come un fuso. Lloyd e Ralph parlano cajun. Con noi, in un inglese strascicato. Se vogliamo bere o fumare, dicono, non c’è problema: qui siamo nel bayou Boeuf, la gente fa quel che vuole.

Ralph si illumina quando sente che siamo italiani: Joseph Volpe (si batte il petto), “one of the nicest people I’ve ever met”, è italiano! Gli manca tanto e vorrebbe ritrovarlo (ehi, se conoscete un Giuseppe Volpe che ha lavorato dalle parti di Thibodaux, ditegli di mettersi in contatto con il vecchio Ralph).

Il giro comincia dal cortile: altri strati geologici di qualsiasi cosa, comprese quattro fuoriserie anni settanta.

Dietro una porta di rete da pollaio c’è una banda di alligatori di ogni taglia. Se qualcuno li infastidisce sollevano la testa dal pantano e soffiano come grossi mantici. Non è un bel rumore. Ognuno ha un nome: la preferita di Lloyd si chiama Beyoncé. Usciamo in barca.

Alligatori a Thibodaux. (Annamaria Testa)

Gli alligatori vivono fino a cento anni. Pesano quasi mezza tonnellata e possono superare i quattro metri di lunghezza, dice Ralph. Si vende sia la pelle sia la carne, ma la pelle è poco conveniente perché l’intermediario si tiene dai 20 ai 25 centesimi per dollaro. Con la carne tutti i profitti vanno al cacciatore. Hamburger e altre ricette a base di alligatore si trovano in gran parte dei ristoranti della zona. La carne è gommosa – l’ho assaggiata – e ha uno strano colorino.

Thibodaux. (Annamaria Testa)

Per cacciare un alligatore ci vuole un pezzo di pollo come esca. Non appena tira fuori la testa dall’acqua gli si spara. Bisogna essere in due e conviene fare in fretta, prima che l’alligatore spezzi la lenza. L’acqua è marrone rossastro. Dai cipressi pendono lunghe barbe grigie.

Thibodaux. (Annamaria Testa)

Le macchie verde brillante e viola di gigli d’acqua ondeggiano al passare della barca. Sono appena fioriti, dice Ralph. Ci indica gli alligatori. Riesce a vederli da lontano, quando ancora sembrano tronchi d’albero o riflessi appena più scuri nell’acqua.

Sono gli alligatori ad aver fatto la fortuna del figlio di Lloyd.

Zamariah “ZZ” Loupe, “il re del bayou”, è un metro e novanta di ragazzone che gioca a football americano nella squadra dell’università Loyola. Si è candidato per un reality show di wrestling, Tough Enough, mandando un video in cui solleva un alligatore (vivo, ovviamente) come se fosse un bilanciere.

“Oh, that’s awesome”, hanno pensato gli organizzatori. ZZ è stato selezionato. È arrivato in finale e anche se non ha vinto, è stato reclutato dalla Wwe, la principale associazione di wrestling del mondo. A diciannove anni è una star e guadagna duemila dollari alla settimana, dice Lloyd mostrandoci una foto del figlio accomodata tra le bambole.

A casa di Lloyd. (Annamaria Testa)

Chiedo a Lloyd se posso scattargli una foto. “Se mi dai il tuo indirizzo email poi te la mando”, gli dico. Grande, fa lui, ma da queste parti nessuno ce l’ha, un’email.

Lloyd. (Annamaria Testa)

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