23 agosto 2016 13:46

Il treno che percorre la Liguria e arriva a Nizza trasporta le contraddizioni dell’Europa. Un’umanità allegra e benestante si distribuisce su alcune delle località balneari più esclusive d’Italia, come Portofino, Rapallo, Alassio, Sanremo. A Ventimiglia, ultima fermata prima del confine con la Francia, invece, scendono anche piccoli gruppi di giovani silenziosi e con la pelle scura. Sono arrivati qui dopo una traversata in mare, e poi in autobus, a piedi o in treno. Si fermano nel luogo più vicino alla loro speranza di un futuro: a poca distanza dal confine con la Francia, il paese dove li aspetta un familiare o un amico.

Da quando nel 2015 Parigi ha chiuso la frontiera, per i migranti stranieri Ventimiglia è diventata un imbuto. Tanto che il ministro dell’interno Angelino Alfano ha detto: “Sul confine di Ventimiglia ci giochiamo l’Europa”.

Il sindaco della città ligure Enrico Ioculano arriva al bar di piazza della Repubblica salutando tutti: un capannello di anziani con il giornale sotto al braccio, due ragazzi in motorino, una giornalista che lo ha dovuto intervistare spesso. Sorride, cerca di buttare acqua sul fuoco di una polemica nazionale che dipinge il suo comune come la trincea di una guerra d’invasione. “Non c’è nessuna invasione, la vita della città continua tranquilla come sempre”. Da quel punto d’osservazione sembra vero: camicie di lino, cappelli di paglia e ombrelloni arrotolati sfilano verso la spiaggia. Si sentono persone parlare in francese, in olandese o con l’accento milanese. Il mercato e i negozi di souvenir sono pieni. Trovare una camera per una notte è impossibile.

“Stiamo gestendo i flussi con umanità ed efficienza”, dice il sindaco. “Il governo finalmente ci ha mandato degli autobus per trasportare in altre città i migranti che non trovano posto nel nostro centro d’accoglienza. Sono persone tranquille, se ne vogliono andare, non cercano grane qui”. Il papa l’ha invitato a Roma a settembre, vuole ascoltare la sua esperienza di sindaco di frontiera. Ma lui non si sente così: “La mia generazione è cresciuta senza il concetto di confine”, dice Ioculano, che ha vissuto i suoi 31 anni a un’estremità dell’Italia ma al centro dell’Europa, proprio lì dove si concretizza la libertà di circolazione firmata a Schengen: “I controlli alle dogane, oggi come oggi, mi sembrano assurdi e tristi. È un passo indietro, la fine di un’epoca”.

Per vedere quella che alcuni giornali definiscono ‘l’emergenza’ dei profughi, bisogna risalire il fiume verso l’interno

La piazza è nella parte nuova di Ventimiglia. Sull’altra riva del fiume Roja, il centro storico, di origine medievale, è aggrappato alla montagna. I 26mila abitanti, con il loro sovraccarico di ricchi turisti, si distribuiscono tra le due zone, entrambe sigillate da una lunga spiaggia di sabbia e rocce.

Per vedere quella che alcuni giornali definiscono “l’emergenza” dei profughi, bisogna risalire il fiume verso l’interno. Dopo due chilometri, si raggiunge una zona di vecchi magazzini per treni merci, capannoni e binari morti. Qui la Croce rossa ha portato sessanta container color crema da sei letti ciascuno, ha montato un ambulatorio e una tenda con tante foto tessera appese fuori.

“Gli ospiti le scrutano cercando di riconoscere un amico o un parente che hanno perso prima di arrivare qui, visto che quando sbarcano al sud li dividono senza considerare i legami che hanno tra loro”, spiega Fiamma Cogliolo, della Croce rossa regionale. Con altri volontari, ha appena servito pasta con curry, ceci e hamburger ai 780 stranieri che oggi erano in fila per il pranzo. Il 13 agosto hanno dormito nel campo 530 persone. “L’80 per cento di loro viene dal Sudan e per lo più non superano i 25 anni. Ogni mattina ne arrivano di nuovi. Noi prepariamo un badge per ognuno, con le generalità. Con questa tessera hanno diritto a tre pasti al giorno, spazzolino, saponetta e detersivo per fare il bucato. La Whirlpool ci ha regalato delle lavatrici industriali che sono la nostra salvezza”.

Da quando ha aperto, il 16 luglio, il parco Roja ha aiutato più di 1.500 persone. La maggior parte ha raccolto le forze e dopo pochi giorni “ci ha provato”. Con questa espressione a Ventimiglia s’intende prendere uno dei sentieri che si arrampicano sulla montagna e scendono dall’altro lato delle Alpi, sulla Costa azzurra. I confini nel bosco sono più labili e meno controllati di quelli sulla strada o sulla ferrovia. Però può succedere che gli agenti francesi ti trovino e ti rimandino indietro.

“I gendarmi picchiano”, racconta Zakaria, 23 anni, libico di Sabrata. Sogna di stabilirsi a Parigi, dove vive suo fratello. Come Mohamed, 21 anni, scappato dal Darfur, e Bachir, nato in Ciad nel 1993. “In Italia non conosciamo nessuno né una parola della lingua”, spiegano in un francese fluido. All’ombra di un olivo sgranocchiano pesche e osservano quelli che hanno deciso di lasciare il centro. Anche loro ci proveranno, domani o nei giorni successivi.

Estate dedicata all’accoglienza

Più visibile ma ugualmente silenziosa, un’altra processione di giovani neri si dirige verso la chiesa di sant’Antonio, in una zona di Ventimiglia chiamata Roverino. Don Rito Álvarez ha fatto suo l’appello del vescovo e del papa e accoglie nella sala parrocchiale circa 70 donne e bambini. “Cuciniamo, mettiamo in ordine e giochiamo tutti insieme. Non esistono italiani e stranieri. Siamo amici ormai”, dice Noemi, 24 anni, che ha dedicato l’estate all’accoglienza. Riceve un sms e si emoziona: “È un ragazzo che se n’è andato stamattina. Mi avvisa che ce l’ha fatta. È in Francia”.

Un bambino dagli occhi color liquirizia le si arrampica sulle gambe, le prende il cellulare e le chiede in italiano perfetto di vedere una puntata di Masha e orso. Maleck, tre anni e mezzo, l’hanno trovato due mesi fa addormentato sul pavimento della chiesa, con sua sorella. Vengono dalla Nigeria. I genitori di Noemi, molto attivi in parrocchia, lo trattano come fosse il loro terzo figlio. “Non ci sono solo chiesaroli qui! Io non vado a messa dal giorno della mia comunione”, dice una donna dai modi spicci. Ogni giorno prima e dopo il lavoro passa a vedere se c’è bisogno di qualcosa. Oggi ha portato 120 paia di scarpe da tennis nuove: “Ho contrattato con i cinesi e alla fine me le hanno messe a 5 euro al paio”, esulta. Ora, chi si ferma a prendere fiato da sant’Antonio può contare su delle scarpe nuove per proseguire il cammino.

Nel luogo in cui Schengen si gioca il suo futuro, queste braccia generose e i piccoli espedienti di sopravvivenza quotidiana sembrano l’ultima garanzia che l’Europa continui a essere se stessa.

(Traduzione di Lucia Magi)

Correzione, 24 agosto 2016
Nella versione precedente di questo articolo, nella cartina della Liguria le posizioni di Alassio e Sanremo erano invertite.

Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2016 a pagina 36 di Internazionale, con il titolo “L’Europa finisce a Ventimiglia”. Compra questo numero | Abbonati

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