25 gennaio 2017 17:33

Avvertenza. Il linguaggio di questa rubrica è diretto ed esplicito.

Seguo parecchio i social media, Facebook e Twitter in particolare. Non commento per litigare, non uso l’hashtag #MAGA (Make America great again). Mi limito a osservare con il mio sguardo maschile. Come dice Laura Mulvey, lo sguardo maschile è semplicemente naturale. Siccome la pornografia ha smesso di interessarmi, uso foto di donne in situazioni di tutti i giorni, di solito selfie. Mi aiuta a conoscere la storia che sta dietro alla faccia e al corpo. Non sono mai foto pornografiche, solo allegri selfie di ragazze che le postano sui social media. Con loro non comunico perché sarebbe perverso. Non è che ho paura sia una cosa anormale. Solo, mi chiedo se la gente si sentirebbe a suo agio, se pubblicando le foto, sapesse che c’è chi si comporta come me. E se non sia il caso che a queste ragazze, prima di masturbarmi sui loro selfie, io chieda il permesso.

–Not Anthony Weiner

Finché le seghe te le fai da solo, con una certa privacy e senza molestare chiunque non sia una partner sessuale o il titolare di una rubrica di consigli sessuali, NAW, puoi fartele su quello che ti pare, tranne le immagini di violenza sessuale su minori, nota anche come pedopornografia.

Mi ricordi il proverbiale commesso di negozio di scarpe feticista dei piedi. Immagina uno che lavora in un negozio di scarpe e prova un’intensa attrazione per i piedi. È inopportuno che gli venga un’erezione mentre aiuta le clienti a provarsi le scarpe? Certo che lo è, così come lo sarebbe se sbavasse o ansimasse. Sarebbe poi molto inopportuno se questo tizio chiedesse alle donne che serve se finito il turno può segarsi pensando ai loro piedi. Ma se lui riesce a comportarsi in modo professionale, se riesce a resistere otto ore senza dare segni di perversità, allora questo tizio può (e probabilmente deve) vendere scarpe. Ed è liberissimo di caricare le immagini mentali nel suo archivio-seghe per usarle in un secondo momento. Questo siamo tutti liberi di farlo, NAW, ed è perverso solo se le persone di cui carichiamo e riutilizziamo le immagini vengono a sapere che lo facciamo.

Rispondendo quindi alla tua domanda, NAW, in nessun caso devi chiedere il permesso alle ragazze sui cui selfie ti masturbi. Le persone che postano foto più o meno esplicite sui social media – gli uomini come le donne – sanno di correre il rischio che degli sconosciuti si masturbino sulle loro foto. Ma c’è una bella differenza tra il sapere che uno sconosciuto potrebbe masturbarsi davanti alle tue foto e che uno di questi sconosciuti si metta in contatto con te.

Sentirsi chiedere dal segaiolo il permesso di segarsi trascina chi ha postato nelle fantasie del segaiolo, e questo non solo è perverso, NAW, ma non aiuta affatto a dimostrare la propria gratitudine. Se una sconosciuta ti svolta la giornata postando una foto sexy, perché tu vuoi rovinargliela – o far sì che in futuro, prima di postarne una, lei ci pensi due volte – dicendole cosa fai mentre guardi le sue foto?

Se per strada vedi una donna sexy, mica la fermi per chiederle se più tardi puoi menartelo pensando a lei. E non lo fai per lo stesso motivo per cui davanti a lei non ti tireresti fuori il pene, NAW, ovvero che queste sono molestie sessuali (promettimi che non farai nessuna di queste cose). No, se la vedi tiri dritto e con discrezione carichi la sua immagine mentale nel tuo archivio. Allo stesso modo devi comportarti sui social media: niente molestie, niente foto del cazzo non richieste, e mai chiedere il permesso di farsi le seghe.

Per finire, NAW, la tua domanda mi ha fatto venir voglia di leggere il saggio della teorica femminista del cinema Laura Mulvey Piacere visivo e cinema narrativo, del 1975, nel quale lei coniò l’espressione “sguardo maschile”. Mulvey definisce lo sguardo maschile fallocentrico, patriarcale, pervasivo e socialmente stabilito. Mai naturale.

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C’è un problema che mi si presenta da quando è circolata la notizia che Trump avrebbe fatto pisciare delle prostitute russe su un letto. Ogni volta che su un social media qualcuno accenna a commentare dicendo che è una cosa disgustosa, qualcun altro lo accusa di stigmatizzare i gusti sessuali. Il mio problema è che se mi normalizzate il feticismo della pipì poi per me diventa noioso. Il pissing era una delle poche cose considerate schifose perfino dalla comunità feticista. Ora mi ritrovo a cercare porno d’altro genere perché, insomma, una lesbica che piscia in bocca a un’altra bella signora sul marciapiede di una stazione? A quanto pare non è più niente di che. Io e il mio fidanzato poliamoroso ci siamo incontrati senza sapere che avevamo in comune l’amore per il pissing. Nessuno dei due aveva mai avuto una persona con cui condividerlo. Nel porno pissing, che io guardo da metà della mia vita, l’unica cosa che non riescono mai a trasmettere è quant’è arrapante abbracciare e baciare una persona che ami molto mentre entrambi siete ricoperti di pipì. Se tu personalmente non vuoi stigmatizzare nessun gusto specifico a me va benissimo. Lo capisco. Ma a tutti gli altri chiedo per favore di smetterla di dire agli amici di non farlo, così che io e il mio fidanzato possiamo tornare a pisciarci addosso sentendoci degli schifosi e quindi eccitatissimi.

–Pissed Off Slut Wife

Questo è un dilemma, POSW, su cui io stesso mi sono arrovellato. Se a certe persone una determinata fantasia glielo fa venire duro o gliela fa bagnare proprio in quanto molto trasgressiva e considerata disgustosa dalla maggior parte, il tentativo di normalizzarla – per esempio stigmatizzando chi la stigmatizza – può diminuire la capacità della fantasia di indurre erezioni e bagnament. Ma sono certo che gli stigmatizzatori avranno la meglio ancora per decenni, nonostante gli sforzi di chi tenta di stigmatizzare loro. La tua fantasia, quindi, continuerà a suscitare abbastanza repulsione e disgusto perché tu e il tuo fidanzato vi sentiate schifosi ed eccitatissimi in eterno.

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Mentre alla radio ascoltavo qualche opinionista parlare del presidente, mi sono ispirata al tuo geniale acronimo DTMFA (dump the motherfucker already, ovvero “mandalo affanculo e stop”), e mi sono ritrovata a urlare “Impeach the motherfucker already!” (ovvero “fategli un bell’impeachment e stop!”). Mi piacerebbe se esistesse una linea di adesivi da paraurti e magliette con questo slogan così saggio: ITMFA! Serve una forma abbreviata per ribadire l’ovvio: pensate a quanto aumenterebbe la nostra produttività se potessimo condensare mezz’ore intere passate a discutere del presidente in cinque semplici lettere: ITMFA! Mi rivolgo a te per introdurre questo acronimo nel nostro linguaggio quotidiano.

–Dumped My Motherfucker Already

Cari lettori, DMMA mi scrisse questa lettera nel 2006. Non si riferiva a Donald Trump, il nostro attuale, orrido presidente, ma a George W. Bush, l’ultimo presidente davvero orrido prima di lui. All’epoca l’idea di DMMA mi sembrò stupenda, aprii un sito internet (impeachthemotherfuckeralready.com) e rastrellai più di 20mila dollari vendendo spille e spillette ITMFA. Metà dei soldi li ho donati all’Aclu (American civil liberties union) e l’altra metà a due candidati al senato democratici (i miei lettori hanno contribuito a mandare a casa Rick Santorum!).

Non pensavo che in vita mia avrei visto un presidente peggiore di George W. Bush, e invece eccoci qua. Per cui ho deciso di far ripartire la mia linea di spillette ITMFA, aggiungendo alla collezione pure le magliette e – ebbene sì – i capellini. Andate su impeachthemotherfuckeralready.com oppure, se è troppo lungo da scrivere, ITMFA.org e comprate qualche accessorio ITMFA per voi o per una persona cara.

Tutti i ricavi saranno devoluti all’American civil liberties union, a Planned parenthood e all’International refugee assistance project.

Ci aspettano quattro anni lunghi e brutti, gente. Raccogliamo un po’ di soldi per i gruppi che si oppongono a Trump, reintroduciamo ITMFA nel nostro linguaggio di tutti i giorni, e ricordiamoci che noi – quelli che hanno votato contro Trump, e che vogliono vederlo andare a casa il prima possibile – siamo la maggioranza. ITMFA!

(Traduzione di Matteo Colombo)

Questa rubrica è stata pubblicata su The Stranger.

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