15 settembre 2014 12:57

(Catherine MacBride, Getty Images)

Quando la Catena di Sant’Antonio incontra il Gioco del Telefono, non c’è limite al caos che si può generare. E così, da giorni, mi arrivano richieste di compilare una lista dei dieci libri più belli che ho letto, anzi no: dei dieci libri che mi hanno cambiato la vita, anzi no: dei dieci libri essenziali per l’umanità, anzi neppure: dei primi dieci libri che mi vengono in mente, così di getto. Insomma, l’unica cosa certa è che il denominatore comune è “dieci” e “libri”, e quando si tratta di accumulare pile non mi tiro indietro.

La lista dei libri che mi hanno cambiato la vita è troppo personale per metterla in pubblico, potrebbero finirci dentro cose imbarazzanti (come spiegare, salvando la reputazione, perché è stato così importante How to be a Jewish Mother, il manuale illustrato di Dan Greenburg per diventare una mamma ebraica?). Ma i dieci libri che elenco qui sotto hanno fatto di peggio che cambiarmi la vita: me l’hanno rovinata, come certe cotte adolescenziali. Mi hanno strapazzato l’umore, rabbuiato i pomeriggi, a volte prosciugato le finanze. Sono i libri che ho dovuto corteggiare per anni prima di impossessarmene, i grandi amori bibliofili non corrisposti, per di più in un’epoca senza internet, quando si girava con gli occhi persi per bancarelle e librerie di seconda mano.

Com’è proprio degli istupidimenti amorosi, in questo e in altri campi, il non poterli avere ne ingigantiva ai miei occhi il valore, alimentando aspettative grandiose. E insomma, eccoli:

  1. Alan Greenberg, Heart of Glass (Skellig Edition, 1976)

Il diario di lavorazione di Cuore di vetro di Werner Herzog, scritto da un venticinquenne americano che fece parte della troupe e pubblicato in poche copie da un microscopico editore di Monaco di Baviera. È difficile spiegare a voi oggi, che potete procurarvi senza fatica la nuova edizione (si chiama Every Night the Trees Disappear) con tanto di postfazione di Herzog e giudizio entusiastico di David Lynch sulla quarta di copertina, cosa volesse dire vent’anni fa poter mettere le mani su quel libro, in cambio del quale avrei dato il Santo Graal, la Balena bianca, il Gronchi rosa, un paio di organi vitali e alcuni parenti di primo grado.

  1. J. Rodolfo Wilcock, Il libro dei mostri (Adelphi, 1978)

Lo cercava disperatamente il più wilcockiano dei miei amici, e quando ne trovai una copia decisi che gli spettava di diritto. Forse andrò in Paradiso solo per questo, sarà come la cipollina della vecchia malvagia nei Karamazov. Poi per fortuna, o per le vie della Provvidenza, anni dopo ne scovai un’altra copia. L’amico mi aveva regalato nel frattempo un altro Adelphi pressoché introvabile, La botanica parallela di Leo Lionni, e il Paradiso attende anche lui: alleluia. Ad ogni modo, Il libro dei mostri ha alcuni degli incipit più belli del mondo, tra cui questo: “Già prima di diventare un asteroide, il veterinario Tontino era molto portato agli scherzi”.

  1. T.S. Eliot, After Strange Gods (Faber and Faber, 1934)

Il libro che Eliot ripudiò, e di cui vietò riedizioni e ristampe. Oggi lo trovate perfino in pdf, su Internet Archive. Tre lezioni sul mondo moderno, l’ortodossia, l’eresia, la tradizione e il talento individuale in letteratura. Con tutte le sue stravaganze e le sue idee piuttosto losche, si legge con più piacere di alcuni dei saggi non ripudiati (chi abbia incontrato L’idea di una società cristiana sa bene cosa intendo).

  1. Leonardo Sciascia, La palma va a nord (Gammalibri, 1982)

Altro libro fantasma che vi consiglio di inseguire per mari e per monti. Una raccolta di interviste a Sciascia curata da Valter Vecellio, sulla mafia, la Sicilia, il caso Moro, il terrorismo, il Pci, gli intellettuali, il fascismo, la Chiesa, i radicali… Nel paese in cui mi piacerebbe vivere, un libro così non scomparirebbe mai dalle librerie, proprio come non scompaiono gli Scritti corsari di Pasolini (che peraltro sono invecchiati molto peggio).

  1. Elémire Zolla, Storia del fantasticare (Bompiani, 1964)

Il libro più più introvabile di Zolla è anche il più bello che abbia mai scritto: una volta tanto, il meccanismo della civetteria, della Belle dame sans merci che si fa desiderare e non si concede, non nascondeva una delusione. Tutti i pensieri e i sospiri e i pianti e le serenate che potete dedicare a questo libro, se li merita. Io ci ho messo dieci anni a farlo mio, come gli Achei ad espugnare Troia.

  1. Anonimo, Méditations sur les 22 arcanes majeurs du Tarot (Aubier, 1984)

Avevo letto qualche riga di questo libro di un misterioso mistico cattolico senza nome ed ero entrato in una specie di trance, non so come altro chiamarla. Ma l’anziano libraio della Procure, la libreria francese di Roma, non riusciva a trovarlo in nessun catalogo. Ero disperato. Tempo dopo saltò fuori che il buon uomo aveva digitato male il titolo. Dopo mesi arrivò, bianco e monumentale. Si rivelò in effetti un libro straordinario, e oggi ne esiste anche un’edizione italiana in due volumi. Ne ho scritto qualcosa qui.

  1. Jules Laforgue, Amleto ovvero le conseguenze della pietà filiale (Scheiwiller, 1987)

L’unico Libretto rosso che abbia mai venerato. La più celebre delle Moralités légendaires di Laforgue, che Carmelo Bene mise in scena in un’infinità di modi, qui tradotta da Ennio Flaiano.

  1. Oscar Kiss Maerth, In principio era la fine (Ferro Edizioni, 1973)

Sottotitolo: “Svelato il mistero dell’origine dell’uomo: l’intelligenza è commestibile”. A fondamento della civiltà c’è il cannibalismo, e tutto cominciò quando alcune scimmie scoprirono che divorando il cervello ancora fresco di altre scimmie potevano accrescere i propri impulsi sessuali e la propria intelligenza. Se siete curiosi, lo trovate facilmente in altre lingue.

  1. Roberto D’Agostino, Libidine (Mondadori, 1987)

Più che come libro, lo volevo come pezzo di arredamento. Un caso unico al mondo di libro gonfiabile (la valvola corrispondeva all’ombelico della donna raffigurata in copertina) e fatto interamente di plastica. La quarta di copertina lo annunciava così: “Un libro eterno, lavabile, tattile, inaffondabile, sintetico, afrodisiaco, salvagente, sessualmente degradante, non assorbente”. E vi dirò, anche a leggerlo non è male.

  1. Giò Staiano, Roma capovolta (Quattrucci, 1959)

L’ho cercato come un ossesso per la sola ragione che era difficilissimo da trovare. Lo stesso ho fatto con altri libri, come Pietroburgo di Andrej Belyj. Tipico meccanismo nevrotico dei posseduti dal demone dello tsundoku. E infatti quando l’ho trovato non l’ho letto, salvo qualche pagina qua e là, e sono passato all’ossessione successiva. Il libro indispensabile è sempre il libro a venire, quello che ci rovinerà la prossima stagione.

Guido Vitiello insegna alla Sapienza di Roma. Oltre che con Internazionale, collabora con il Corriere della Sera, il Foglio e il Sole24Ore. Ha un sito: UnPopperUno

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