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La corte suprema degli Stati Uniti d’America con 5 voti a favore e 4 contrari, ha confermato una sentenza secondo cui il Texas Department of Housing and Community Affairs, sarebbe colpevole di discriminazione abitativa. La stessa corte oggi ha deliberato anche sulla legittimità dei sussidi federali previsti dalla riforma sanitaria di Barack Obama. Tra i verdetti attesi entro la fine di giugno, c’è anche quello sui matrimoni gay.
Un’organizzazione no profit del Texas, The Inclusive Communities Project, sostenuta dall’amministrazione Obama e da altre associazioni per i diritti civili, aveva accusato l’agenzia texana che si occupa di assegnare abitazioni ai cittadini a basso reddito, di aver violato il Fair Housing Act, la legge del 1968 che ha lo scopo di prevenire la segregazione residenziale basata su razza, colore, religione, sesso.
L’agenzia texana è stata giudicata colpevole, di aver di fatto favorito, anche se non intenzionalmente, la segregazione razziale. Il caso era nato nel 2008, quando The Inclusive Communities Project aveva citato in giudizio il Texas Department of Housing, accusandolo di assegnare crediti di imposta agli imprenditori che presentavano progetti residenziali che segregavano le minoranze a vivere nelle aree povere della città di Dallas. L’agenzia texana decide infatti a quali progetti assegnare i crediti di imposta attraverso un piano di assegnazione (Qap), con un sistema di punteggi. I progetti che ricevono più punti ottengono gli sgravi fiscali. La Inclusive Communities ha quindi citato in giudizio l’agenzia texana sostenendo che dal 1994 in poi, questa abbia assegnato i crediti di imposta a quei progetti che prevedevano la costruzione di alloggi per le minoranze solo nelle aree povere e degradate di Dallas, favorendo di fatto la segregazione.
La corte suprema degli Stati Uniti ha confermato che il governo federale può offrire sussidi ai cittadini per acquistare una assicurazione sanitaria, così come stabilito dall’Affordable care act, chiamato anche Obamacare. La decisione dei nove giudici rappresenta una vittoria per il presidente Barack Obama e di fatto va contro la richiesta di 36 stati, che invece chiedevano l’abolizione della pratica stabilita dalla riforma sanitaria in vigore dall’ottobre del 2013.
La controversia era scaturita da un passaggio poco chiaro della riforma. Nella sezione 1311, infatti, si stabilisce che i sussidi federali possono essere garantiti solo ai cittadini che acquistano una copertura sanitaria all’interno dei mercati online – di fatto dei siti internet – stabiliti da ciascuno stato. Ma proprio tra questi mercati non viene citato quello federale, il sito healthcare.gov da sempre promosso da Obama, che invece appare nella sezione 1321. Il ricorso si basava proprio su questo cavillo.
L’Obamacare obbliga tutti i cittadini statunitensi ad avere un’assicurazione sanitaria, garantendo però una serie di sussidi e di sgravi fiscali agli strati più poveri della popolazione. Secondo i dati del governo, dopo la riforma il numero dei non assicurati è sceso da 42 milioni a 29 milioni. Se la corte suprema avesse deciso diversamente, 6,5 milioni di persone in una decina di stati avrebbero perso la possibilità di avere i sussidi e molti altri si sarebbero visti aumentare il premio da pagare. Inoltre sarebbe stato un duro colpo all’amministrazione Obama per una delle riforme su cui il presidente statunitense si è speso di più negli ultimi anni.
Nei prossimi giorni sono attese alcune sentenze dalla corte suprema, il massimo organo giudiziario negli Stati Uniti. I verdetti più importanti riguarderanno l’approvazione dei matrimoni gay in tutti gli stati del paese e un aspetto della riforma sanitaria dell’amministrazione Obama. La corte renderà note le sue decisioni tra le sedute di giovedì 25 giugno, venerdì 26 e lunedì 29. Leggi
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