18 maggio 2017 15:29

Il 19 maggio in Iran si vota per eleggere il prossimo presidente della repubblica. Ecco le regole per presentarsi, i candidati e i programmi.

Chi può candidarsi?

Secondo l’articolo 115 della costituzione iraniana, alle elezioni presidenziali si possono candidare donne e uomini, maggiorenni, con la fedina penale pulita, devoti ai princìpi fondamentali della Repubblica islamica e alla religione di stato, lo sciismo. Nel 2013 si presentarono 650 aspiranti candidati, quest’anno nella fase iniziale erano 1.636, tra i 18 e i 92 anni; 137 erano donne.

Formalmente le donne possono candidarsi, ma in Iran tutto è una questione d’interpretazione. Secondo la costituzione, infatti, un candidato deve essere rejal siasi, ovvero una personalità politica. Nella grammatica persiana non esiste il genere femminile o maschile, e per anni i conservatori – nella convinzione che una donna non sia intellettualmente capace di diventare presidente – hanno sfruttato l’ambiguità traducendo la parola con “uomo di stato”. Dal 2009 invece è stato deciso che il significato più corretto fosse “élite politica” aprendo quindi le porte anche alle donne.

L’apparente democraticità del sistema elettorale si scontra con l’azione del consiglio dei guardiani della rivoluzione. Composto da sei esperti di legge islamica scelti dalla guida suprema, Ali Khamenei, e da sei giuristi eletti dal parlamento, è il consiglio a selezionare chi correrà alle presidenziali: dopo la scrematura operata dai giuristi, erano rimasti in lizza solo sei candidati, di cui due si sono ritirati alla vigilia del voto.

Chi sono i candidati?

  • Hassan Rohani è presidente dal 2013, quando ha vinto le elezioni grazie allo slogan “moderazione e prudenza” interrompendo gli otto anni di isolamento internazionale del paese durante l’amministrazione di Mahmud Ahmadinejad. Rohani ha ancora il sostegno di moderati e riformisti, malgrado una certa delusione per il miracolo economico promesso e non ancora arrivato. Rohani conquisterà i voti anche dell’ex candidato Eshaq Jahangiri, attuale vicepresidente ed ex governatore di Isfahan, anche lui del fronte riformista, che come previsto si è ritirato all’ultimo momento per favorire il presidente.
  • Ebrahim Raisi è il candidato della coalizione conservatrice Fronte popolare delle forze della rivoluzione islamica. Ha il suo grande bacino elettorale a Mashhad dove dirige la fondazione Astan Qods che gestisce i beni del santuario dell’ottavo imam sciita. Essendo uno dei luoghi più importanti del pellegrinaggio sciita, la fondazione è un grosso centro di potere religioso ed economico. Raisi è considerato l’avversario più pericoloso di Rohani, anche perché ha ricevuto l’appoggio del sindaco di Teheran, Mohammad Bagher Ghalibaf, un altro conservatore, che ha ritirato la sua candidatura il 15 maggio.
  • Seyed Mostafa Agha Mirsalim, ex ministro della cultura con Rafsanjani, era già attivo politicamente prima della rivoluzione come direttore dell’azienda ferroviaria urbana e suburbana di Teheran. Un ostacolo alla sua vittoria potrebbe essere la nazionalità di sua moglie, francese.
  • Mustafa Hashemi Taba è visto come una candidatura “tattica” per disperdere voti sul fronte riformista. Si era già candidato nel 2001 ottenendo lo 0.1 per cento dei voti.

I temi durante i dibattiti televisivi e nei comizi

La radiotelevisione di stato Irib ha dato a ogni candidato 555 minuti in tre dibattiti televisivi e altri 555 minuti in radio. Ogni dibattito è tematico – società, economia, politica – e durante le trasmissioni in diretta i candidati devono presentare le loro posizioni su questioni come il calo dei matrimoni tra i giovani, l’inquinamento, il sistema di trasporti, eccetera.

I comizi elettorali nelle strade e nelle piazze affrontano i temi più discussi dell’anno.

  • Nucleare. L’accordo firmato dall’Iran con gli Stati Uniti e i membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania è considerato dai riformisti come il grande successo del primo mandato di Rohani. Per i conservatori invece si è trattato per della peggiore perdita di sovranità nazionale. Secondo gli analisti, a ostacolare Rohani ci sono tutte quelle frange di potere che vivono l’effettiva fine delle sanzioni come una minaccia al flusso di contanti generato dal mercato nero, ormai istituzionalizzato nell’economia del paese e gestito da diversi gruppi conservatori interni al governo.
  • Economia. Rohani è stato accusato di non aver migliorato la situazione economica. L’inflazione è arrivata intorno al 10 per cento rispetto al 40 per nel 2013, ma la disoccupazione giovanile è ancora al 30 per cento. Inoltre, i conservatori giudicano la fine delle sanzioni come un rischio per la sopravvivenza di diverse aziende locali, abituate a operare in un mercato chiuso da oltre trent’anni e non pronte alla concorrenza internazionale. Rischio che non si è ancora palesato visti i timori degli investitori stranieri in seguito all’insediamento di Trump alla Casa Bianca.
  • Diritti civili. Parecchi moderati e riformisti pensano che Rohani abbia fallito in questo campo. Molti giovani criticano il presidente per non essere riuscito a far scarcerare i due leader riformisti Mir Hosein Musavi e Mehdi Karrubi, agli arresti domiciliari dal 2009, anno della repressione del movimento di protesta nato in seguito a presunti brogli elettorali. Rohani ha puntato sullo slogan “dobare Iran”, un’altra volta Iran, invitando i giovani a non tornare indietro e a dargli più tempo.
  • Successione della guida suprema. La guida suprema, che attualmente è Ali Khamenei, controlla le forze armate, prende decisioni su sicurezza e difesa nazionale e su questioni chiavi di politica estera. Viste le condizioni precarie di salute di Khamenei si prevede la sua sostituzione nell’arco dei prossimi quattro anni. Per questo motivo le elezioni sono particolarmente sentite tra i conservatori. La presenza di un presidente riformista durante una scelta così delicata potrebbe avere conseguenze importanti per l’equilibrio di potere del paese. Khamenei, facendo un esplicito riferimento a George Soros – accusato di aver avuto un ruolo nelle rivolte del 2009 – ha fatto conoscere il suo pensiero attraverso Twitter: “Chiunque si metta contro la sicurezza del paese, riceverà uno schiaffone”.

(A cura di Virginia Pietromarchi)

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