10 gennaio 2018 09:13

Era il 1985, in Sudafrica c’era l’apartheid e gli artisti del resto del mondo boicottavano il paese per la sua politica razzista. Paul Simon ci andò lo stesso e cominciò a collaborare con la crème dei musicisti neri locali. Le polemiche non furono poche, perché in molti accusavano Simon di sfruttare gli artisti sudafricani, ma altri pensavano che se quello era l’unico modo di fare uscire la loro voce dall’isolamento l’operazione era meritoria.

Quando un anno dopo uscì Graceland il mondo diede ragione a Simon, che si era inventato un suono che fondeva il suo pop rock, la musica degli Stati Uniti del sud e il mbaqanga e altri generi musicali dell’Africa meridionale. Inoltre aveva dato un profilo internazionale ad artisti straordinari come il gruppo vocale a cappella Ladysmith Black Mambazo o il folgorante Bakithi Kumalo, il cui basso fretless arricchiva quasi tutto l’album. Graceland fu un successo colossale e aiutò Simon a montare un tour mondiale con i musicisti del disco e ospiti sudafricani expat di lusso come Hugh Masekela o Miriam Makeba. Io li sentii a Milano nel 1987, e resta uno dei concerti più perfetti della mia vita. Stamani mi sono svegliato con in testa la #canzonedelgiorno, che apriva il lato b dell’album e diede anche la scusa a una mia fidanzata del liceo per cominciare chiamarmi Al. Nel video c’è Chevy Chase, un’altra presenza molto eighties.

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