23 ottobre 2018 10:12

Nel 1984 Bruce Springsteen era già famoso. Con la sua nuova uscita, dopo l’asciutto, cupo Nebraska, decise di diventare una grande star. Il nuovo album fu annunciato da un singolo, la #canzonedelgiorno, che è perfetto per capire come mai chi, come me, non conosceva ancora Springsteen e non aveva simpatia per il rock tamarro a stelle e strisce lo trovò insopportabile. Sbagliavo, ovviamente. Ma qui gli ingredienti per il mio rifiuto c’erano tutti, dal sound governato da una tastierona da balera al video d’autore (Brian De Palma!) con l’artista a maniche corte in concerto che tira sul palco una fan carina per ballare. Dai, siamo seri!

L’operazione funzionò: il singolo diventò la sua più grande hit (lo è ancora) e l’album, Born in the U.S.A., vendette milioni di copie e tatuò l’immagine del Boss davanti alla sua bandierona nazionale nell’immaginario collettivo mondiale.

L’estate dopo Springsteen arrivò per la prima volta in Italia per un concerto e grazie al cielo un amico fidato mi raccomandò di andarci anche se ero scettico. Era il 21 giugno del 1985 e per me cambiò tutto. You can’t start a fire without a spark.

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