26 giugno 2018 11:46

È paradossale che il ministro più zelante ed efficiente nel mettere in pratica le idee di Donald Trump sia proprio quello più detestato dal presidente.

Dopo la vittoria del candidato repubblicano alle elezioni del 2016, Jefferson Beauregard Sessions sembrava la persona perfetta per occupare il ruolo di ministro della giustizia nella nuova amministrazione: un repubblicano di lungo corso ma allo stesso tempo un outsider malvisto dal cosiddetto establishment, condizione fondamentale per entrare nelle grazie di Trump; un ostinato uomo del sud – si chiama Jefferson come suo padre e suo nonno e in onore di Jefferson Davis, presidente del sud confederato durante la guerra civile, e Beauregard come un noto generale sudista – capace di portare il messaggio incendiario del miliardario newyorchese nell’epicentro dell’estrema destra americana; una persona che, con le sue idee arcaiche sull’immigrazione, sulla questione razziale, sulla legalizzazione delle droghe leggere e sui matrimoni gay avrebbe saputo spazzare via l’eredità di Barack Obama e del suo primo ministro della giustizia, Eric Holder.

Poi è scoppiato lo scandalo sui rapporti tra il comitato repubblicano e il governo russo, e Sessions è caduto in disgrazia. Poco dopo l’insediamento della nuova amministrazione, all’inizio del 2017, si era scoperto che in campagna elettorale Sessions aveva incontrato l’ambasciatore russo negli Stati Uniti, e soprattutto che aveva mentito al congresso su quelle conversazioni. A quel punto Sessions aveva deciso di fare un passo indietro e di lasciare la supervisione dell’inchiesta sulla Russia al suo vice Rob Rosenstein, che aveva immediatamente nominato Robert Mueller come procuratore speciale per indagare sul caso. Da quel momento in poi l’inchiesta si è allargata come un incendio facendo terra bruciata intorno alla Casa Bianca. A ogni atto formale di Mueller la furia di Trump è aumentata, e forse nessuno l’ha subita più di Sessions, accusato dal presidente di essere debole, incompetente e in fin dei conti il vero colpevole di tutta la vicenda.

L’ultima dose di insulti è arrivata a fine maggio, quando Trump si è rammaricato di non aver scelto un altro ministro della giustizia.

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Ma niente di tutto questo ha distolto Sessions dalla missione che porta avanti da decenni, fin dai tempi in cui, da procuratore distrettuale in Alabama, attaccava i gay, i neri e gli attivisti per la legalizzazione della marijuana chiudendo un occhio sulle attività dei suprematisti bianchi. Una missione che consiste fondamentalmente nello smantellare l’edificio dei diritti civili che gli Stati Uniti hanno faticosamente costruito negli ultimi sessant’anni.

Naturalmente viene subito in mente la politica della tolleranza zero sull’immigrazione, i cui effetti sono esplosi drammaticamente nell’ultimo mese e mezzo, con più di duemila bambini e adolescenti centroamericani strappati ai loro genitori e rinchiusi in centri di detenzione alla frontiera. Ma la lista dei provvedimenti repressivi proposti o attuati da Sessions in diciotto mesi è lunga e riguarda molti temi – dalla giustizia penale alla violenza della polizia fino alle limitazioni al diritto di voto – e leggendola si capisce che finora il ministro della giustizia è stato il miglior esecutore delle promesse fatte da Trump in campagna elettorale.

Il ministro della giustizia è determinato nel tentativo di limitare il diritto di voto delle minoranze

Sessions non c’ha messo molto a far capire quali fossero le sue priorità. Due settimane dopo essersi insediato ha firmato una serie di provvedimenti che hanno cancellato le misure volute dall’amministrazione Obama per eliminare alcune disfunzioni del sistema carcerario statunitense. A cominciare dal rapporto tra il governo federale e le aziende che gestiscono alcuni penitenziari, un legame che si è cementato negli ultimi vent’anni e che ha contribuito, secondo gli attivisti per i diritti dei detenuti, a peggiorare le condizioni di vita nelle carceri, a far aumentare gli abusi da parte delle guardie e ad acuire le disparità razziali nei centri di detenzione. Obama aveva cercato di mettere mano a questa situazione vietando al governo federale di concedere contratti alle aziende, ma Sessions, appena entrato in carica, ha invertito la rotta.

Il ministro della giustizia sembra ancora più determinato nel tentativo di limitare il diritto di voto delle minoranze, una battaglia che in realtà porta avanti da molto prima di occupare l’incarico attuale. Quando era procuratore generale dello stato dell’Alabama, tra il 1995 e il 1997, Sessions ha sostenuto le politiche di gerrymandering dei repubblicani locali, che consistono nel ridisegnare i distretti elettorali in modo da limitare l’impatto del voto delle minoranze e massimizzare l’influenza dell’elettorato bianco. Una delle tante misure che gli stati del sud hanno escogitato dopo la fine della guerra civile e delle schiavitù per evitare la desegregazione degli spazi pubblici e della vita politica.

D’altronde le idee di Sessions arrivano dritte dalla tradizione dei conservatori del sud dell’epoca delle battaglie per i diritti civili. È la tradizione che fa capo a George Wallace, governatore dell’Alabama ai tempi di Martin Luther King e della desegregazione, che si opponeva all’iscrizione dei neri nelle scuole e nelle università e considerava il gerrymandering un pilastro della sua “resistenza” alle imposizioni del governo federale.

Come procuratore generale dell’Alabama Sessions cercò inoltre di estendere i casi in cui era prevista la pena di morte, per esempio per le persone con gravi disturbi mentali, e arrivò perfino a sostenere una proposta per introdurre la pena di morte per chi aveva ricevuto almeno due condanne per reati gravi legati al traffico di droga (una posizione che ricorda molto la proposta recente di Trump di condannare a morte i trafficanti).

Oggi Sessions sta portando avanti la battaglia di Wallace cancellando uno dopo l’altro i provvedimenti attuati da Eric Holder e Loretta Lynch, ministri della giustizia dell’amministrazione Obama, che si erano lasciati dietro un’eredità importante sul tema dei diritti civili: avevano adottato misure per garantire il rispetto dei diritti civili da parte dei corpi di polizia; avevano aperto una serie di inchieste sul razzismo sistematico di alcune amministrazioni locali (come quella su Ferguson, in Missouri, che aveva portato alla luce il razzismo istituzionale); avevano emesso linee guida per i pubblici ministeri ordinando di non chiedere il carcere per reati di droga minori; avevano, infine, rafforzato i poteri della divisione che si occupa di perseguire i crimini d’odio.

Sessions si è schierato contro tutte queste politiche, e ha escluso a priori qualsiasi riforma del sistema penale (gli Stati Uniti mettono più persone in prigione di qualsiasi altro paese, il 25 per cento della popolazione carceraria mondiale) e qualsiasi intervento per ridurre la violenza della polizia. Ha ordinato invece di rafforzare la sorveglianza degli attivisti neri in un momento in cui le minacce alla sicurezza nazionale arrivano soprattutto dai nazionalisti bianchi, una decisione che serve soprattutto a criminalizzare il movimento Black lives matter.

Aumentano i respingimenti
E poi, naturalmente, c’è stato il giro di vite sull’immigrazione, che è cominciato come una campagna contro i centroamericani e i musulmani e con il passare dei mesi si è trasformato in una crociata contro gli stranieri in generale. Sessions – insieme al suo collaboratore Stephen Miller, oggi uno dei principali consiglieri di Trump – è stato il silenzioso esecutore di questa dottrina.

Nelle ultime settimane la vicenda delle famiglie separate ha oscurato altri provvedimenti ordinati dal ministro della giustizia per rendere praticamente impossibile l’ingresso legale nel paese. Tra questi c’è il tentativo di trasformare le regole sul diritto d’asilo: a inizio giugno Sessions ha annunciato che le violenze domestiche e le minacce delle gang non saranno più motivi sufficienti per concedere l’asilo. Significa, in poche parole, che decine di migliaia di persone in fuga dall’America Centrale potrebbero automaticamente essere rimandate indietro. Nel frattempo le associazioni per i diritti dei migranti attive alla frontiera affermano che negli ultimi mesi è aumentato il numero di persone respinte prima di poter presentare richiesta d’asilo (anche di quelle che entrano dai punti di accesso legali), in violazione delle leggi statunitensi e internazionali.

Alla fine, a pensarci bene, non è strano che finora sia stato proprio Sessions, il più detestato dal presidente, a dare forma al trumpismo di governo. Un po’ perché quando il tuo capo è un egocentrico con deliri narcisistici la cosa migliore da fare per conservare il posto di lavoro è incassare, abbassare la testa e dimostrare di saper essere più realista del re. Ma anche perché Sessions, tra tutte le persone di cui il presidente si è circondato, era l’unico in grado di fare da raccordo tra le istanze di cambiamento portate avanti dal candidato Trump e la voglia dei conservatori del sud e della destra religiosa di tornare allo status quo che c’era prima dei vari movimenti per i diritti civili.

Negli ultimi decenni questa destra ha perso la maggior parte delle battaglie sociali e culturali – l’aborto è diventato un diritto costituzionale, i matrimoni omosessuali sono stati legalizzati dalla corte suprema, la marijuana è legale in molti stati – e ora le è rimasta una battaglia da combattere per arginare il cambiamento, quella contro l’immigrazione e la diversità culturale in generale.

Un rigurgito politico che c’è stato in tutto il mondo occidentale, ma che negli Stati Uniti si è verificato in modo più plateale e violento, con funzionari di governo che non si fanno problemi a chiamare in causa la Bibbia per motivare la decisione di separare i bambini migranti dai loro genitori. Anche su questo è stato Sessions a dettare la linea. Il 20 giugno ha citato le parole di san Paolo che invitava a rispettare le leggi del governo perché è stato Dio che ha predisposto il governo per i suoi scopi. Il giorno dopo Sarah Huckabee Sanders, portavoce del presidente, ha difeso il ministro della giustizia e ha rilanciato: “Far rispettare la legge è in linea con la Bibbia”.

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