06 novembre 2017 14:51

I corpi avvolti in sacchi neri sono sollevati da una gru, che dal ponte della nave della marina militare spagnola Cantabria, li trasferisce sul molo del porto di Salerno, dove ad aspettarli ci sono dei carri funebri. I cadaveri sono 26, tutte donne, presumibilmente di nazionalità nigeriana. Sono morte annegate al largo della Libia – il 3 novembre – mentre erano a bordo di due gommoni.

Altre otto salme sono arrivate il 4 novembre nel porto di Reggio Calabria a bordo della nave Diciotti della guardia costiera italiana: quattro donne e tre bambini. “Ci sono stati almeno tre naufragi in due giorni al largo della Libia”, conferma Marco Rotunno, portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e sono più di 2.500 le persone soccorse nell’ultima settimana nello stesso tratto di mare.

Mentre il ministro dell’interno Marco Minniti annuncia la diminuzione del 30 per cento degli arrivi di migranti sulle coste italiane rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, riprendono gli sbarchi nel paese: il 3 novembre la nave Aquarius di Sos Méditerranée è arrivata a Vibo Valentia con 588 persone a bordo, il 4 novembre la nave Diciotti ha attraccato al porto di Reggio Calabria con 765 persone, mentre una nave della missione EunavforMed è giunta a Taranto con 322 persone a bordo, invece il 6 novembre a Crotone è arrivata la nave della ong spagnola Proactiva open arms con 401 persone a bordo.

Sono state recuperate 23 salme da un naufragio e tre da un altro naufragio

“La nave Cantabria ha partecipato a quattro operazioni di soccorso: tre gommoni e un barchino di legno”, spiega il portavoce dell’Unhcr. I sopravvissuti hanno riferito che il mare era molto mosso e per questo alcune persone sono cadute in acqua. “Sono state recuperate 23 salme da un naufragio e tre da un altro naufragio che si aggiungono alle altre otto salme che sono arrivate sabato al porto di Reggio Calabria. In tutto sono 34 morti”, aggiunge. Molto probabilmente ci sono dei dispersi, ma al momento non è chiaro di quante persone si tratti.

“Il 1 novembre la nave Aquarius ha condotto quattro operazioni in 18 ore: un trasbordo e tre salvataggi”, afferma Madeleine Habib, coordinatrice delle operazioni di Sos Méditerranée a bordo della nave Aquarius. “Un’operazione è stata particolarmente drammatica. Prima che la nostra lancia di salvataggio arrivasse sul posto, l’imbarcazione si è sgonfiata e le persone hanno cominciato a saltare in acqua. C’erano davvero molte persone nel mare. Abbiamo lanciato dei galleggianti e stabilizzato la situazione. Anche se abbiamo fatto tutto quello che potevamo, non potremo mai essere sicuri che tutti siano stati salvati”, conclude Habib.

La strategia italiana in crisi
“Abbiamo sempre sostenuto che la rotta del Mediterraneo centrale non era chiusa, anche se le partenze dalla Libia da luglio si sono ridotte”, afferma Marco Rotunno dell’Unhcr che conferma il cambiamento dei porti di partenza delle imbarcazioni di migranti rispetto ai mesi scorsi.

Secondo gli esperti, a causa dei maggiori controlli delle guardie costiere libiche e dei combattimenti avvenuti nelle scorse settimane a Sabrata (la città a 70 chilometri da Tripoli che era il principale punto di partenza dei migranti) i trafficanti di esseri umani hanno cominciato a usare nuovi porti lungo i 350 chilometri di costa libica. “Ora le imbarcazioni partono non solo da Sabrata, ma anche da Zuwara, da Zawiya o da Garabulli e Al Khums, due porti a est di Tripoli”, aggiunge Rotunno. Questo dato confermerebbe quanto annunciato nell’ultimo rapporto di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, che ipotizzava “un aumento del numero di partenze nelle prossime settimane”.

Intanto le condizioni del mare sono peggiorate con la cattiva stagione e il rischio di naufragi è più alto, anche a causa della diminuzione dei mezzi di soccorso presenti al largo della Libia dopo il ritiro di molte organizzazioni non governative che operavano soccorsi in mare come Medici senza frontiere e Save the children.

Le condizioni delle persone soccorse sono pessime, peggiori che nel passato

Riccardo Gatti, portavoce della ong spagnola Proactiva open arms, conferma che le imbarcazioni stanno partendo dalla costa a est di Tripoli. “Ci ha chiamato la centrale operativa della guardia costiera di Roma alle sette di mattina avvisandoci che c’era un’imbarcazione a nordest di Al Khums e noi eravamo abbastanza lontani, ci sono volute quattro ore per arrivarci”, racconta.

Gatti aggiunge che i soccorsi continuano a essere coordinati dalla guardia costiera italiana e che le imbarcazioni presenti in quel tratto di mare sono diminuite e quindi devono coprire un’area molto più vasta, impiegando molte ore per raggiungere i gommoni in difficoltà. “Le condizioni delle persone soccorse sono pessime, peggiori che nel passato. E sono aumentati i migranti eritrei”, afferma Gatti.

Secondo Rotunno dell’Unhcr, “le persone che arrivano in Italia portano segni di malnutrizione, disidratazione, difficoltà a camminare, violenze. Tutti segnali di una prigionia prolungata nei centri di detenzione in Libia”. Questo elemento conferma l’emergenza umanitaria nel paese nordafricano. Secondo l’ultimo rapporto diffuso dall’Unhcr, sarebbero 18mila i migranti ritrovati nell’ultimo mese nei centri di detenzione di Sabrata dopo la fuga del clan Dabbashi, la famiglia di trafficanti sconfitta all’inizio di ottobre dal gruppo armato Sala operativa per la lotta allo Stato islamico. Secondo alcune stime, ci sono ancora seimila persone rinchiuse nei centri di detenzione non ufficiali della città.

Il silenzio delle autorità
In questo quadro gli accordi che il governo italiano ha stretto con il governo di Tripoli per bloccare le partenze dei migranti non stanno funzionando: le partenze sono riprese, le condizioni dei migranti nei centri di detenzione libici sono peggiorate e i soccorsi in mare sono più pericolosi e complicati a causa della diminuzione dei mezzi di soccorso.

“Non basta il silenzio per ignorare la morte degli invisibili”, twitta il Cisom, il corpo di soccorso dell’ordine di Malta, imbarcato sulle navi della guardia costiera italiana. Sembra un riferimento alla ritrosia delle autorità italiane nel commentare i soccorsi e i naufragi delle ultime ore nel Mediterraneo centrale. Come fa notare l’inviato di Radio Radicale Sergio Scandurra, l’ufficio stampa della guardia costiera italiana non risponde al telefono e non sono stati diffusi comunicati stampa ufficiali su quanto accaduto al largo delle coste libiche.

Le organizzazioni non governative e umanitarie sono diventate le uniche fonti per sapere cosa sta succedendo in quel tratto di mare. Intanto i porti siciliani nell’ultimo mese sono stati protagonisti di pochissimi sbarchi, le navi sono state dirottate verso i porti calabresi, pugliesi e campani. Alcuni ipotizzano che il ministero dell’interno non abbia voluto appesantire le elezioni siciliane del 5 novembre con la ripresa degli sbarchi, un chiaro segnale della crisi della strategia italiana in Libia.

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