11 ottobre 2018 14:53

Gentile bibliopatologo,
nel 2016 acquistai un libro sul referendum costituzionale che si sarebbe svolto nel dicembre dello stesso anno. Alla fine di un dibattito con alcuni amici, uno di questi mi domandò il libro in prestito e io, preso dall’entusiasmo di quella serata così ben riuscita, glielo cedetti. Da quel momento non è passato mese che non mi sia amaramente pentito della scelta fatta, nonostante il libro sia ormai obsoleto dal punto di vista delle informazioni, e con quell’amico non abbia più grandi contatti. Come posso richiedere il libro indietro a questa persona senza sembrare completamente pazzo?

-Matteo C.

Caro Matteo,

quando ero bambino mi hanno rubato mille volte il naso. All’epoca i furti di nasi erano all’ordine del giorno, una vera emergenza per la sicurezza; ma le forze dell’ordine non vigilavano, e dirò di più, una buona parte di questi atti criminosi si consumava in famiglia, al riparo delle mura domestiche. Non c’è genitore, nonno o zio che non mi abbia rubato almeno una volta il naso, che misteriosamente ricompariva in forma di pollice, una falange sporgente tra l’indice e il medio dello scippatore. Caspita che brutto naso dovevo avere, era il mio primo pensiero. Ma grazie al cielo continuavo a respirare, e quando mi cercavo il naso nel solito posto, al centro della faccia, lo trovavo lì, magicamente riformato.

Se lo avessi visto girare in carrozza per la città, come il naso del racconto di Gogol, le cose sarebbero state più complesse, e probabilmente avrei sviluppato qualcosa di simile alla sindrome dell’arto fantasma. Senti per esempio come Oliver Sacks, in L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, descrive la vita da incubo di un amputato:

Un marinaio si recise accidentalmente l’indice della mano destra. Nei quarant’anni seguenti fu tormentato dal fastidioso fantasma del dito rigidamente teso, com’era nel momento in cui se l’era reciso. Ogni volta che si avvicinava la mano alla faccia, per esempio per mangiare o per grattarsi il naso, temeva che il dito fantasma gli cavasse un occhio.

Mi dirai: e questo cosa c’entra con il mio pamphlet sul referendum? C’entra, caro Matteo, c’entra. Perché – ti svelo il più spaventoso degli arcani – per ogni vero bibliomane i libri rientrano nella sfera della cosiddetta propriocezione. In altri termini, la biblioteca è un’estensione del nostro corpo, un esoscheletro cartaceo, e questo ci rende riottosi al prestito (chi darebbe la tibia in uso a un amico, anche solo per qualche settimana?) e ipersensibili ai vuoti negli scaffali. Io potrei elencarti uno per uno tutti gli arti fantasma della mia biblioteca, tutti i volumi amputati dall’infanzia a oggi: libri prestati e mai riavuti indietro, o anche regalati frettolosamente nella convinzione di poterne fare a meno.

Ora, escludendo l’ipotesi di richiedere all’amico il libro perduto o di mandargli la polizia in casa per recuperare la refurtiva, hai davanti a te due vie. Se proprio non resisti, puoi ricomprare quel libretto del 2016 nel mercato dell’usato, dove ormai te lo tireranno dietro per due o tre euro. Con ogni probabilità lo infilerai distrattamente in uno scaffale e non lo aprirai mai più (lo stesso avresti fatto con la copia originale), ma in compenso coltiverai una rassicurante sensazione di persistenza ontologica in accordo al paradosso della nave di Teseo.

Oppure – è la scelta che raccomando – puoi seguire la mia sperimentata via infantile: fai un respiro profondo, e scoprirai che quell’inutile libello non ha nulla a che fare con il tuo corpo e le sue funzioni vitali, non più di quanto il pollice di mia zia avesse a che fare con il mio naso.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

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