01 ottobre 2017 13:06

Elisabetta Bartuli intervista il poeta Faraj Bayrakdar e il romanziere Khaled Khalifa, siriani, sulla scrittura come strategia per sopravvivere alle guerre e alle dittature. L’evento si è svolto sabato 30 settembre nella Sala Estense del Comune di Ferrara, in occasione dell’XI festival di Internazionale.

Bayrakdar è membro del Partito di azione comunista. Incarcerato per quattordici anni, è stato liberato grazie a una campagna internazionale. Khalifa è impegnato nell’opposizione pacifica al governo. Gli ospiti hanno conversato sui luoghi, le donne e la Siria nelle loro opere.

Aleppo è il luogo più rappresentativo per Khaled Khalifa. “Con Aleppo ho un rapporto quasi mistico”, spiega, “per cui è difficile parlare di quello che succede oggi”. La città torna frequentemente nelle sue opere: “anche quando parlo di Damasco o di altre città, torno sempre a parlare di Aleppo”. L’ossessione di Bayrakdar è invece la prigione, che è contemporaneamente luogo di tortura, di solidarietà tra co-detenuti e di immaginazione di ciò che è al di fuori.

Nella fantasia dei prigionieri, le donne hanno un peso importante, non solo come oggetti del desiderio fisico. Bayrakdar racconta che i carcerati sognano una donna che li curi come una sorella o un’infermiera e, nell’immaginarla, le attribuiscono i tratti caratteristici di molte altre donne della loro vita. Questa proiezione protegge l’aspetto umano ed emotivo dei detenuti e rappresenta una speranza per il futuro. Anche i romanzi di Khalifa sono abitati da personaggi femminili: sono figure forti, anche nella sofferenza e nella tortura. Il romanziere spiega di aver sempre ammirato la capacità delle donne di costruire la vita con poco. Parla anche del rapporto aperto e paritetico con le sue amiche e del senso di protezione che fin da bambino hanno suscitato in lui i membri femminili della famiglia.

Ma è la scrittura il tema attorno al quale ruota tutta la conversazione. Durante la detenzione, Bayrakdar componeva versi per essere la memoria dei detenuti. Nel suo diario del carcere, I tradimenti della lingua e del silenzio, si percepisce che la parola non può raccontare davvero quell’esperienza. Per il poeta, però, se scrivere rievoca il dolore, tacere è un tradimento. Khalifa, invece, vede nella letteratura una via di sopravvivenza: “La scrittura mi ha salvato, non ho nessuna altra gioia pari allo scrivere”, racconta. Invita poi a non considerare la letteratura siriana solo come una letteratura di prigionia, ma come una descrizione della vita e delle sue passioni in senso più ampio.

La complessa situazione sociale e politica in Siria fa da sfondo agli interventi dei due ospiti. Khalifa ritiene che, costruita la democrazia, ricostruire le case ad Aleppo sarà più facile e si dice sicuro che i suoi abitanti avranno la forza morale per farla tornare alla vita. Duro Faraj Bayrakdar che chiosa: “il mondo prima o poi si sveglierà e dovrà sentire quanta vergogna e quanto male ha fatto”.

Lorenza D’Isidoro, studentessa del Master di Giornalismo e Comunicazione scientifica dell’Università di Ferrara, volontaria all’ufficio stampa del festival

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