07 febbraio 2017 17:06

La musa che ispira da trent’anni il fotografo argentino Facundo de Zuviría è Buenos Aires, metropoli cosmopolita di cui però ha raccontato il carattere meno turistico, soffermandosi su quei dettagli trascurati che testimoniano i continui cambiamenti della città.

Facundo de Zuviría (1954) viene da una famiglia di avvocati e anche lui ha studiato legge per diventarlo. La passione per la fotografia però è stata più forte e ha comincia a collaborare con i quotidiani locali. A metà degli anni ottanta ha lasciato i giornali per lavorare in un programma culturale che ha coinvolto diversi quartieri di Buenos Aires. Si è trovato così a esplorare avidamente zone meno conosciute, che appartengono solo a chi vive e prende il caffè tutti i giorni nello stesso barrio.

Nelle sue foto trova spazio l’ossessione per le linee, le forme che si ripetono e che tracciano con grazia una visione malinconica di qualcosa che sta scomparendo.

Il suo primo libro è del 1996, Estampas porteñas, ma il progetto che l’ha portato a esporre all’estero è Siesta argentina (2003), ispirato dalla recessione del 2001. Qui il fotografo usa la ripetitività delle facciate dei negozi chiusi, segnate da graffiti o frasi di malcontento, per documentare la profondità della crisi. Nella scelta del titolo tuttavia de Zuviría vuole essere ottimista; la siesta è solo una condizione temporanea in cui “stiamo dormendo ma da cui ci sveglieremo”, come racconta al New York Times.

Secondo Alexis Fabry, uno dei curatori della prima mostra statunitense dedicata a de Zuviría, queste immagini non sono frutto del caso, ma “dello sforzo per ricostruire la città, a partire dai suoi fragili resti, le sue ‘modeste differenze’, prendendo in prestito le parole di Jorge Luis Borges”.

Siesta argentina e altri lavori di de Zuviría sono esposti all’Americas Society di New York, fino al 1 aprile.

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