21 febbraio 2017 17:01

Danny Lyon (1942) è una delle figure fondamentali nella street photography statunitense, che a partire dagli anni sessanta ha puntato il suo obiettivo su quelle persone considerate ai margini della società e l’ha fatto instaurando una straordinaria intimità con i suoi soggetti. Le sue foto hanno raccontato quella che era una vera alternativa all’american way of life.

Il museo de Young di San Francisco presenta una retrospettiva su Lyon, ripercorrendo la sua carriera a partire dall’estate del 1962, quando lascia New York e va verso sud per documentare il movimento dei diritti civili. Diventa il fotografo ufficiale del Comitato studentesco di coordinamento non violento (Sncc) e documenta marce, sit-in, funerali, scontri, spesso sviluppando e stampando le foto in camere oscure improvvisate. Nel 1965 si unisce ai motociclisti dello Chicago outlaws motorcycle club perché “volevo testimoniare e glorificare la vita del motociclista americano”. Le immagini scattate in questo periodo faranno parte del libro The bikeriders (1967), uno dei lavori più conosciuti di Lyon.

La vita del fotografo è un viaggio inarrestabile in cui passa dalla demolizione degli edifici ottocenteschi di Lower Manhattan alle carceri del Texas alle comunità di nativi americani del New Mexico. Tra gli anni settanta e ottanta Lyon va in America Latina dove fotografa i lavoratori irregolari in Bolivia e in Messico, i bambini di strada colombiani e la sanguinosa rivoluzione di Haiti che rovescia la dittatura di François Duvalier. Il cambiamento sociale e politico, le persone che lo circondano, il paesaggio occidentale sono i temi con cui Danny Lyon si è confrontato per tutta la vita.

La retrospettiva Danny Lyon: a message to the future, aperta fino al 30 aprile, pone l’attenzione anche sulla produzione di documentari, un aspetto meno conosciuto della sua carriera, sulla passione per gli album fotografici e i collage, e sui progetti più recenti sull’inquinamento in Cina (2005-2009) e il movimento Occupy Wall street (2011).

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