26 settembre 2020 12:47

“Non sono una fotografa di guerra. Trovo molto più interessante e stimolante offrire un punto di vista laterale sui conflitti”, dice la fotografa An-My Lê.

Nata a Saigon nel 1960, Lê fuggì con la sua famiglia dal Vietnam nel 1975, trasferendosi prima in Francia e poi negli Stati Uniti, dove si è laureata. Negli anni novanta sentì la necessità di tornare in Vietnam: “Cercavo la mia identità”, dice Lê. “Mentre lavoravo alla serie Viêtnam ho capito che sono prima di tutto un’artista e poi una vietnamita-americana, in tutte le sfaccettature che queste etichette possono avere. In questo momento, per esempio, sento di dover affrontare temi legati alla storia degli Stati Uniti. Ma voglio farlo in maniera diversa da come la raccontano i mezzi d’informazione”.

Nella sua carriera Lê ha fotografato ex campi di battaglia, spazi riservati all’addestramento militare, persone che rimettono in scena eventi bellici. Le sue immagini evocative attingono spesso alla tradizione della fotografia di paesaggio per riflettere sulla complessità della guerra e sul coinvolgimento degli esseri umani.

Le sue foto sono state raccolte nel libro On contested terrain (Aperture e Carnegie museum of art, 2020), realizzato in occasione di una grande mostra esposta al Carnegie museum of art di Pittsburgh fino al 18 gennaio 2021. Oltre alla immagini, il volume contiene un testo in cui Lê dialoga con l’autore vietnamita Viet Thanh Nguyen.

L’esposizione presenta sette serie della fotografa, da Viêtnam, realizzata negli anni novanta, a Silent general il nuovo lavoro sull’eredità della guerra civile americana, ispirato al libro Giorni rappresentativi di Walt Whitman.

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