Si potrebbe essere tentati di accogliere con fatalismo la notizia di un colpo di stato in Sudan. È la terza volta in pochi mesi che scene come quelle viste a Khartoum si ripetono in Africa, dopo i colpi di stato in Mali e in Guinea. Questi eventi dimostrano fino a che punto la democrazia se la passi male nei paesi dov’è più fragile. Ma questo fenomeno non si limita all’Africa. A marzo Freedom House, un’organizzazione finanziata dal governo statunitense, ha pubblicato un altro rapporto allarmante secondo cui lo stato della democrazia nel mondo è peggiorato per il quindicesimo anno consecutivo. L’arretramento è stato registrato in 73 paesi, un record. A settembre il rapporto della stessa organizzazione sulle libertà su internet ha confermato la regressione in atto dal 2010. Per il settimo anno consecutivo la Cina è in cima alla classifica per la censura in rete e l’arresto dei dissidenti.

L’“autoritarismo virale” evidenziato tra gli altri dall’istituto V-Dem dell’università di Göteborg non riguarda solo le democrazie più giovani come la Birmania, dove a febbraio i militari hanno represso nel sangue un difficile processo di evoluzione democratica. Questa terribile ondata autoritaria investe anche nazioni che possono contare su una lunga tradizione di pluralismo politico, come l’India di Narendra Modi, che V-Dem ha incluso nella categoria delle “autocrazie elettorali”, o Hong Kong, che Pechino ha messo in riga senza troppe cerimonie.

La globalizzazione economica, che avrebbe dovuto favorire la diffusione della democrazia nei paesi più refrattari, sembra ormai aiutare i regimi autoritari grazie alla diffusione degli strumenti di sorveglianza elettronica. A questa si aggiunge lo sviluppo di una repressione transnazionale esercitata da paesi come Cina, Russia, Iran, Turchia e Arabia Saudita, che raggiunge anche i tradizionali rifugi dei dissidenti come Stati Uniti, Regno Unito o Canada. Questa deriva non risparmia nemmeno i pilastri più antichi della democrazia liberale. Il moltiplicarsi degli attacchi ai contropoteri che pure sono i garanti del buon funzionamento della democrazia, in Europa come negli Stati Uniti, ne è la testimonianza. Per non parlare degli effetti devastanti dei social network nell’alimentare l’odio.

Di fronte a una crisi come la pandemia di covid-19, il principale argomento dei regimi autoritari, cioè la loro presunta efficienza, non regge se si considerano i risultati ottenuti dalle democrazie rappresentative. Di fronte alla tendenza attuale quindi bisogna essere vigili e lucidi. La democrazia non è un dato acquisito. Resta più che mai una lotta. Ma può ancora farsi valere, sempre che qualcuno si impegni a difenderla. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1433 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati