La politica italiana somiglia incredibilmente alle telenovelas latinoamericane: piena di amori non corrisposti, relazioni insolite e separazioni multiple. Le linee narrative raggiungono l’apice prima che un inaspettato colpo di scena sistemi tutto: il momento del deus ex machina. Nei drammi antichi avveniva quando una divinità era calata sul palco da una macchina per prelevare un personaggio fastidioso che non poteva essere escluso in altro modo dalla trama.

La sinistra italiana, guidata dal Partito democratico (Pd), ora si augura l’intervento di un deus ex machina dopo che la sua strategia elettorale si è sgretolata con l’improvviso abbandono di un alleato centrista, appena quattro giorni dopo aver trovato un accordo per unire le forze contro la destra in ascesa. Ma chi interpreterà il deus ex machina? Il partito scommette sull’aura sacrale di Mario Draghi.

Il Pd guidato da Enrico Letta è ancora scosso dal fallimento della sua alleanza con il centrista Carlo Calenda. Se riuscirà a formare un governo dopo il voto di settembre, Letta dice che continuerà le politiche di Draghi e vendicherà l’improvvisa uscita di scena dell’ex banchiere centrale. Il segretario del Pd accusa la destra di aver sabotato Draghi e tradito gli interessi dell’Italia, causando il voto anticipato. Il problema? Lo stesso Draghi non ha alcuna intenzione di recitare la parte del salvatore in questo dramma. Chi ancora spera che l’uomo che ha salvato l’euro entrerà nella concitazione della campagna elettorale per influenzarne l’esito è destinato a restare deluso. Draghi non lo farà.

Poco credibile

Durante tutto il suo mandato, Draghi ha chiarito senza mezzi termini di essere lì per svolgere un compito preciso, per il quale era stato nominato e non eletto. Il presidente della repubblica gli aveva affidato la missione di guidare il piano di ripresa dalla pandemia nella giusta direzione per ottenere i finanziamenti dell’Unione europea in cambio di riforme. Si è trattato di un lavoro da manager, non da politico. E Draghi non ha mostrato alcun interesse per i giochi sporchi della politica necessari a chi vuole restare aggrappato al potere a Roma.

Considerate le stranezze degli ultimi due mesi, chi può biasimarlo. Draghi si è costruito la sua reputazione salvando l’euro nel 2012. Non vuole che ora il suo nome sia trascinato nel fango. E neppure che sia sfruttato in campagna elettorale. Al Pd risulterà impossibile fare Draghi senza Draghi. Vantarsi di proseguire il suo programma senza la partecipazione del tecnocrate sarà difficilmente credibile. Il lavoro di Draghi è finito e i politici lo sanno. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e tra i favoriti alle urne, avrà forse delle posizioni vaghe praticamente su tutto, ma la sua è la voce più forte nel chiedere maggiore libertà e meno stato. Per essere convincente, il partito di Letta deve fare di più che ripetere “Draghi, Draghi, Draghi”.

Lo strappo

Letta ha avuto la giusta intuizione di provare a costruire una coalizione ampia, dal centro alla sinistra. Ma il suo cosiddetto campo largo ha chiesto a tutti troppa flessibilità, tanto che ha finito per causare divisioni. Calenda ha rotto l’accordo sostenendo che alcuni elementi dell’alleanza erano populisti come la destra e che in passato avevano anche votato contro il governo Draghi.

Ora è nato un terzo polo, di centro, ma più sono le spaccature nel centrosinistra meglio sarà per Meloni. I sondaggi indicano un testa a testa tra il Pd e Fratelli d’Italia. Ma Meloni una coalizione, seppur litigiosa, ce l’ha. Il centrosinistra non ha un’alleanza per battere la destra. I conti semplicemente non tornano. Tutto questo può anche essere avvincente, ma la vita italiana dopo Draghi non sarà altrettanto divertente. L’agenzia di rating Moody’s ha ricordato agli investitori – e a Roma – i costi delle turbolenze politiche, dando un giudizio negativo sulle prospettive per il paese dopo le dimissioni di Draghi. Il cosiddetto Draghi put – la sua capacità di placare i mercati – ormai non c’è più.

Le poche settimane che restano prima del voto varranno una vita nella politica italiana. E tutto può succedere. Ma oggi c’è una maggiore probabilità che quest’autunno a prendere in mano le chiavi di palazzo Chigi sarà un governo di destra. Letta e il suo Partito democratico non dovrebbero perdere tempo a rincorrere il fantasma di Draghi. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1474 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati