08 settembre 2015 16:22

In Siria sono in corso svariate operazioni militari, di diversi paesi e forze contrastanti. Ecco una mappa per fare il punto sulla situazione.

Francia

Il presidente François Hollande ha detto che dall’8 settembre partiranno dei voli di ricognizione dell’aeronautica francese per monitorare il territorio siriano e capire dove sono le basi dello Stato islamico.

Nonostante faccia parte della coalizione guidata da Washington, finora il governo francese non aveva partecipato ai raid aerei contro lo Stato islamico in Siria perché convinto che un simile intervento avrebbe favorito il regime di Bashar al Assad. Hollande ha giustificato il cambio di strategia dicendo che negli ultimi due anni il gruppo jihadista si è molto rafforzato in Siria e che per indebolirlo bisogna colpire anche lì, oltre che in Iraq. L’obiettivo è quello di attenuare la minaccia di attacchi in Francia: l’attentato alla rivista Charlie Hebdo a gennaio o quello di fine agosto sul treno Thalys sono collegati allo Stato islamico.

Regno Unito

Le stesse ragioni di “autodifesa” motivano l’iniziativa del Regno Unito. Eppure, se il francese Hollande ha parlato in conferenza stampa, il premier britannico David Cameron non ha fatto alcun annuncio pubblico prima di agire. Ha invece ammesso che il 21 agosto i droni dell’aeronautica britannica, pilotati da una base nel Linconshire (in Inghilterra) hanno ucciso due cittadini britannici che si erano arruolati tra i jihadisti in Siria. Il raid è avvenuto nella zona di Raqqa, cuore dello Stato islamico. Sono stati uccisi Reyaad Khan, di Cardiff, e Ruhuel Amin, scozzese.

Nel settembre del 2014, il parlamento di Londra aveva autorizzato attacchi aerei contro lo Stato islamico solo in Iraq, non in Siria e ancor prima aveva respinto la richiesta di Cameron di intervenire in Siria.

Iran e Russia

Teheran e Mosca hanno una strategia meno frontale contro i jihadisti e sono soprattutto impegnati a sostenere il regime di Bashar al Assad.

Assad controlla circa il 25 per cento del paese, la parte occidentale, dalla costa fino al sud di Damasco. Eppure non si tratta di una striscia compatta. I gruppi di ribelli e di jihadisti che si oppongono al regime avanzano nella pianura di Sahl al Ghab e possono tagliare la strada che unisce Homs e Lattakia (sulla costa, al nord). Assad potrebbe rimanere circondato. Per evitarlo, l’Iran invia pasdaran, miliziani sciiti iracheni ed Hezbollah per difendere l’area di Damasco e le strade verso il Libano; la Russia protegge la costa dalle sue basi del Mediterraneo.

Coalizione internazionale

Ne fanno parte gli Stati Uniti, il Bahrein, la Giordania, il Qatar, l’Arabia Saudita e gli Emirati arabi Uniti e, da fine agosto, anche la Turchia. Al contrario di Iran e Russia, sostiene i ribelli e i gruppi islamici tra cui anche il Fronte al Nusra, legato ad Al Qaeda, contro lo Stato Islamico. Il Qatar fa arrivare i jet nelle basi turche, Ankara consente ai droni statunitensi di eseguire attacchi dalle sue basi nel sud della Turchia e Riyadh ha ottenuto da Washington la tecnologia gps per colpire da grande distanza, senza mettere a rischio i piloti.

Turchia

Mentre contribuisce alla coalizione internazionale, la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan conduce la sua guerra contro i curdi del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), situati nel nord della Siria. Da inizio luglio sono morti 70 militari delle forze di sicurezza turche e centinaia di curdi. Il 1 novembre il paese torna alle urne ed Erdoğan è preoccupato dal grande consenso che il partito curdo ha ottenuto alle scorse elezioni.

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