31 gennaio 2017 12:48

In Birmania era una personalità molto rispettata. Il 29 dicembre U Ko Ni, un noto avvocato difensore dei diritti umani, è stato ucciso con un colpo di arma da fuoco all’aeroporto di Rangoon, mentre tornava da un viaggio in Indonesia insieme a un gruppo di rappresentanti del governo e della società civile che avevano partecipato a un incontro sulla democrazia e sulla risoluzione dei conflitti.

Sessantatré anni, di religione musulmana, Ko Ni era il consigliere giuridico di Aung San Suu Kyi, la premier de facto, e del suo partito, la Lega nazionale per la democrazia. Era impegnato nel dialogo intercomunitario in un momento delicato per la Birmania, un paese a maggioranza buddista minacciato da fratture religiose.

Dal lancio della transizione democratica, sei anni fa, dopo anni di governo dei militari, l’avvocato era in prima linea contro le divisioni settarie sempre più evidenti. Infatti i sentimenti antimusulmani continuano ad aumentare e alimentano la spirale di violenza nello stato di Rakhine, nell’ovest del paese, dove vive quasi un milione di rohingya, apolidi senza diritti di cittadinanza.

L’assassino di Ko Ni è stato identificato: si tratta di Kyi Lin, 53 anni, un uomo originario di Mandalay, la seconda più grande città del paese, che non ha ancora spiegato il suo gesto. Secondo alcuni testimoni al momento di sparare avrebbe gridato: “Non potete comportarvi così!”.

Un duro colpo
Win Htein, uno dei portavoce della Lega nazionale per la democrazia, ha condannato l’omicidio definendolo “un duro colpo al partito”. “Sarà molto difficile sostituire Ko Ni. Abbiamo perso un eroe. La situazione è molto grave”, ha aggiunto.

L’ong Amnesty international, che lavorava con Ko Ni – ai cui funerali, il 30 gennaio, hanno partecipato migliaia di persone – ha parlato di un “atto spaventoso” con “tutte le caratteristiche di un omicidio politico”. L’ong ha chiesto alle autorità di aprire un’inchiesta “approfondita, indipendente e imparziale” sulle circostanze della sua morte.

Secondo la Bbc, Ko Ni difendeva i diritti dei suoi connazionali musulmani e per questo si è fatto dei nemici. La sua scomparsa riflette una triste realtà: nonostante la vittoria della Lega nazionale per la democrazia nel novembre del 2015, la Birmania è ancora un“campo minato di paura” e la prospettiva di una riconciliazione è più che mai illusoria.

(Traduzione di Francesca Sibani)

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